lunedì 13 dicembre 2010

150 anni dall'Unità: Il Federalismo

Federalisti sono stati Gioberti e Balbo. La lega Lombarda oggi si ispira al Federalismo ed è fautrice del cosiddetto Federalismo fiscale. Ci siamo chiesti se il nostro Paese può divenire federalista e abbiamo cercato di sostenerne i pregi e i difetti. Leggete!

I DIFETTI DEL FEDERALISMO
Perché non è possibile perseguire un assetto federalista, soprattutto in Italia? Quali sono gli elementi che frenano il prevalere di questa corrente politica su tutte le altre?
Osservando che cosa comporti il federalismo, possiamo notare come, attuando questa politica, ai diversi vantaggi che mettono uno Stato a proprio agio, si contrappongono non pochi svantaggi.
Questo concetto è così riassumibile: un modello IDEALE perfetto di federalismo non può corrispondere ad un’altrettanto perfetta attuazione PRATICA di tale progetto.
Pensiamo innanzitutto all’economia: rendere uno stato centralizzato, federale, significherebbe dar vita ad una pluralità di economie, che sostituiscano l’economia di scala che, seppur spesso sconveniente, per i suoi prezzi uniformi si rivela di gran lunga migliore rispetto a quella federalista.
Il federalismo favorisce poi “tendenze centrifughe”, antitetiche: ciò significa che per conciliare i principi di unità e diversità di cui si fa portavoce spesso compromette uno di questi due valori. Infatti, per tutelare la diversità, il federalismo finisce per compromettere l’unità e, viceversa, avendo a cuore l’unità, rischia di trasformarsi in un vero e proprio federalismo nominale, in cui il potere risulta essere centralizzato (come in un normale stato unitario). Da questo aspetto ne deriva che il buon funzionamento di un’organizzazione politica federale, che sia in grado di conciliare unità e diversità, richiede molto di più che una semplice struttura federalista: ha infatti bisogno di una sviluppata “cultura del pluralismo” che veda nelle differenze territoriali, dunque culturali, amministrative ed economiche, un mezzo attraverso cui confrontarsi. Serve poi un sentimento associativo che si manifesti nell’impegno alla discussione e al compromesso per raggiungere il consenso, così da salvaguardare insieme l’unità e l’integrità delle parti.
Diamo poi uno sguardo alle critiche nei confronti dell’ amministrazione federalista del territorio: non essendoci una gerarchia formale di autorità e, nello stesso tempo, essendo presente una ridondanza di strutture amministrative, il sistema politico potrebbe andare in crisi.
Ecco poi un altro prezzo da pagare di non minor importanza: le spese per il personale burocratico (che riguarda quindi la pubblica amministrazione); sostituendo un assetto federalista ad uno centralizzato, si aggiungerebbero nuovi ruoli del pubblico impiego, senza modifiche agli enti di amministrazione già presenti. Si originerebbe in tal modo un accumulo caotico di dipendenti pubblici, la cui funzione va ad accavallarsi ad una già presente che, però, non è stata eliminata.
Oltre a tutto ciò, insufficienti conoscenze tecniche dei governi locali, incapaci di approntare efficaci politiche di bilancio, scarsa informazione delle comunità governate e possibili collusioni dovute alla stretta vicinanza tra cittadini e governi locali sono tutti fenomeni da non trascurare quando si vogliono applicare i principi del federalismo in una comunità. Si rischierebbe, diversamente, di favorire solo alcuni gruppi piuttosto che la generalità degli utenti.
E’ quindi facile notare come l’ “idilliaco” mondo che ci propone il federalismo non sia in tutti i suoi aspetti “rose e fiori”: il miglioramento di uno stato, che il federalismo si propone, porta molte volte ad una degenerazione dei problemi di politica ed amministrazione interna dello stato stesso.

Giulia Chitò 4AL

IL FEDERALISMO? DIREI DI NO.
LA MIA OPINIONE SUL SISTEMA FEDERALE
Il federalismo, a cui si avvicina l’Italia oggi, ha dei difetti su cui bisognerebbe riflettere.
Esso si basa su due esigenze opposte e non conciliabili quali l’unità e la diversità, ciò comporta che una delle due finisce per essere sminuita. Nel caso si tuteli la diversità si rischia di compromettere l’unità, viceversa se si ha a cuore l’unità si rischia che il federalismo divenga solo nominale, non dissimile dagli stati unitari.
In Italia le diversità tra le varie regioni è notevole, in particolare tra nord e sud vi è uno stile di vita completamente diverso, perciò se si desse maggior autonomia alle regioni, tali differenze aumenterebbero ancor di più, rendendo l’Italia sempre più uno Stato meno unito da un punto di vista sociale e culturale. La Storia ci insegna che quanto più uno stato è frammentato, quanto più è debole, ciò portò profonde crisi anche in imperi fortissimi come quello romano o in quello germanico.
Col federalismo poi in ogni regione verrebbero applicate particolari leggi valide solo per quel territorio, ciò porterebbe maggiori difficoltà alle industrie altrui. Ad esempio occorrerebbe dialogare con più uffici e funzionari amministrativi, portando quindi a sprechi di tempo ma anche di denaro pubblico, poiché questi funzionari devono comunque essere stipendiati.
In alcune regioni, dove il PIL è basso, si rischierebbe che servizi fondamentali come l’istruzione e la sanità non abbiano abbastanza fondi per proseguire in modo dignitoso, come accade già in alcune province meridionali.
Detto ciò, prima di dire sì al federalismo, è consigliabile pensarci un po’ su.

Stefano Belometti 4AL


UN SI' CONVINTO AL FEDERALISMO
Nella società di oggi, e in particolare nella politica, uno degli argomenti di discussione più accesi è quello del Federalismo; esso è un sistema di governo che può riuscire a sanare la crisi italiana e a riportare la ricchezza nella nostra penisola. Tale sistema è particolarmente adatto ad una situazione come quella dell’Italia poiché essa, nonostante sia uno Stato unico, presenta al suo interno numerose differenze sociali, culturali ed economiche. Grazie ad un governo federale si possono tutelare queste diversità e permettere allo stesso tempo un pieno sviluppo dello Stato sia locale che generale.

I cittadini, all’interno di uno Stato federale, si sentono più vicini al mondo politico poiché in caso di problemi sanno direttamente con chi andare a prendersela; il campo si restringe, non bisogna più cercare “la mela marcia”in uno Stato intero, ma in un luogo più ristretto, come la regione. Inoltre, proprio perché si tratta di una realtà più piccola, la politica può rispondere in modo più preciso e puntuale alle esigenze dei cittadini i quali in questo modo, trovando esaudite le loro richieste, avranno anche una maggior fiducia nei loro rappresentanti e nella politica in generale.

Questo tipo di governo permette inoltre un ampio sviluppo economico interno grazie all’applicazione del Federalismo fiscale; in questo modo i soldi provenienti dalle tasse rimangono (per la maggior parte) all’interno della regione e possono essere utilizzati per le esigenze di quest’ultima.
Alcune persone criticano questo sistema poiché credono sia a vantaggio esclusivamente del Nord Italia; in realtà non è così poiché se quest’ultimo smette di finanziare il Sud esso sarà costretto a camminare con le proprie gambe e a sfruttare quelle risorse che possiede ma che non ha mai utilizzato.

Infine, il Federalismo permette di mantenere i vantaggi dello Stato unico poiché quest’ultimo continua a gestire le questioni di ordine generale ( esercito, moneta e problemi dovuti a cause di forza maggiore); inoltre esso controlla anche l’operato delle singole istituzioni particolari in modo da non permettere la formazione di piccoli stati indipendenti.

Il Federalismo ha quindi tutti i numeri per ridare bellezza e ricchezza all’Italia.
Colosio Mirko Fenaroli Giada Marinaro Giampaolo Mirone
Giorgio 4AL


DEFINIZIONI: FEDERALISMO DEMOCRATICO 
Con la Costituzione degli stati Uniti d’America (1787) nasce un nuovo potere di governo diviso tra autorità centrale e unità politiche di sottogoverno (regioni, provincie): il federalismo.  Esso si sviluppa in varie sfumature, tra cui , appunto, il federalismo liberale e democratico.  Nell’ 800 in Italia, a questo proposito, iniziano i primi scontri che vedono da una parte il neoguelfismo di Gioberti e dall’altra il federalismo democratico di Cattaneo. È proprio Carlo Cattaneo il maggior rappresentante di questa corrente in Italia. Egli, infatti, non solo riconosce nei cittadini i diretti interessati alla sovranità, ma vede in questo modello di governo un modo più efficace di esercizio del potere, basato sulla teoria della libertà. La sua politica potrebbe essere riassunta in questa sua frase celebre: “libertà è repubblica, repubblica è pluralità, ossia federazione”. Insomma, egli propone una legge democratica che parta dal basso e che rispetti sia la volontà dei piccoli stati, sia quella di tutto il popolo. Figure altrettanto importanti furono Giuseppe Ferrari e Giuseppe Mazzoni. Il primo prese, durante il Rinascimento,  parte a un dibattito  che suggeriva la tutela della particolarità e l’unicità delle singole regioni mentre il secondo fu famoso, in particolare, per il potere che esercitò in Toscana, dove da triumviro si batté per un federalismo che potesse assicurare autonomia alla propria regione. Arrivando ad oggi, troviamo  la Lega Nord che, a partire dall’ultimo decennio del Novecento, è il partito che con più vigore ha presentato programmi politici che prevedono un riequilibrio tra potere statale e regionale.   Proiettandoci su uno sfondo più ampio, notiamo che anche a livello europeo esiste un gruppo di politici che al grido di libertà, democrazia, giustizia e solidarietà ha formato il partito denominato FDE: Federalismo Democratico Europeo. Esso vorrebbe costruire una nuova forza politica che nasca contemporaneamente nei diversi stati europei con medesime linee guida. Il suo disegno di lavoro prevede un equità fiscale e un’ offerta di servizi di qualità, la garanzia di una giustizia certa ed equa, un aiuto concreto a giovani e anziani e , infine, per quanto riguarda l’immigrazione, un monitoraggio delle entrate per mantenere una convivenza dignitosa tra i cittadini.
Bettoni Eva  4AL


un po' di storia
In Italia il partito politico che si è fatto portatore delle idee federaliste è la “Lega Nord”. Essa viene costituita nel 1989 durante il primo congresso di Segrate. Nell’ aprile dell’anno successivo si riunirono in occasione del “Giuramento Di Pontida” più di 500 persone in quello stesso paese, in memoria dell’omonimo giuramento del 7 aprile 1167, nel quale i comuni del settentrione si unirono in un lega e si organizzarono per combattere Federico I Barbarossa che meditava progetti espansionistici nell’Italia Settentrionale. In realtà la Lega iniziò ad operare già nel ’79 quando Umberto Bossi fonda la “Lega Autonomista Lombarda” con l’aiuto di Bruno Salvadori, leader del partito autonomista Union Valdôtaine. Negli anni successivi Bossi diffonde il messaggio autonomista della Lombardia, andando contro i media che lo deridevano. Effettivamente le prime idee della Lega Lombarda erano improponibili, poiché si basavano sull’ indipendenza della regione, poiché sede di un popolo differente dal resto dell’Italia. Nel 1982 nasce il giornale del movimento: “Lombardia Autonomista”, che contribuirà alla diffusione delle idee. Negli anni successivi la voce del movimento si propagandava per tutto il nord con i primi slogan (tra i quali “Roma ladrona, la Lega non perdona”) e nel 1987 il partito entra in parlamento con un senatore (Umberto Bossi) e un deputato (Giuseppe Leoni); nel 1989 entra nel parlamento europeo (nel Gruppo autonomista). Nel ’90 la Lega Lombarda si unisce ai partiti autonomisti di Veneto, Piemonte, Liguria, Friuli, Trentino, Emilia Romagna, Toscana, Alto Adige, Valle d’Aosta, Umbria e Marche, si costituisce dunque la “Lega Nord”. In questa operazione svolge un ruolo importante Gianfranco Miglio. Il suo progetto prevedeva tre macroregioni (Nord, Centro e Sud) e le cinque regioni a statuto speciale governate localmente. Il governo centrale doveva essere gestito da un presidente federale con l’aiuto di alcuni rappresentanti delle regioni e macroregioni. Nel ’94 Miglio abbandona la Lega Nord sia a causa di un litigio con Bossi per la sua mancata elezione come ministro delle riforme, sia perché non aveva mai apprezzato l’alleanza con Silvio Berlusconi. Nello stesso anno ci sono le elezioni e la Lega entra prepotentemente nel governo aggiudicandosi cinque incarichi ministeriali, oltre alla presidenza della camera assegnata a Irene Pivetti. Questo risultato è solo l’inizio di un’ascesa politica leghista, caratterizzata da alti e bassi. Ed è proprio nelle elezioni politiche del 2008 che riuscirà ad ottenere un incredibile risultato, successo che già nel 1994 si intravedeva, superando di gran lunga l’8%.  Grazie a questo  la coalizione con il PdL è diventata salda. Perciò negli ultimi anni il segretario della Lega Nord e tutti i suoi componenti hanno iniziato a farsi sentire sempre con più veemenza portando l’Italia vicina al federalismo, promessa fatta dal Premier ad Umberto Bossi per assicurarsi l’appoggio di quest’ultimo. Esempi di federalismo in Italia li abbiamo già: le cosiddette “cinque sorelle del club”, che sono Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige, Sardegna, Sicilia e Valle d’Aosta. Queste godono di numerosi privilegi che le Regioni ordinarie, ossia tutte le altre, nemmeno si sognano. Qualche esempio? Cominciamo dalla scuola: in passato si è parlato del caro libri, ma per tutti i trentini i libri di testo sono gratis per tutto il ciclo della scuola, dai 6 ai 18 anni. Poi ci sono le borse di studio per chi vuole andare all'estero, che coprono vitto e alloggio. Gli insegnanti a Trento e Bolzano sono pagati il 30% in più. Come mai? Grazie all'indennità bilinguismo. I trentini che vogliono mettere su un'impresa hanno addirittura una sovvenzione a fondo perduto che può arrivare al 70%. In Friuli e Valle d'Aosta ci sono agevolazioni speciali per il mutuo sulla casa e le fasce di reddito più basse, in provincia di Bolzano, hanno un prestito sulla prima abitazione che va da 59 a 119mila euro ad interessi zero. In Valle d'Aosta ogni residente ha diritto a 800 litri di benzina esentasse, mentre a Trieste i prezzi sono agganciati alla Slovenia e i carburanti scontati. In tutte le Regioni a statuto speciale il bollo dell'auto si paga meno perché senza imposta regionale. A fronte di questa lista che potrebbe continuare, non sorprende che molti Comuni abbiano tentato di passare da una regione all'altra. Tutto questo non è corretto nei confronti delle altre Regioni, infatti si sta cercando un po’ alla volta di togliere potere alle cinque. La Lega chiede invece che tutte siano come queste, ma per far ciò il federalismo è essenziale.
Colosio Mirko, Fenaroli Giada, Marinaro Giampaolo, Mirone Giorgio.

giovedì 9 dicembre 2010

150 anni dall'Unità: vista da noi....


FRANCESCO CUCCHI: un bergamasco di spicco tra i “Mille garibaldini”.
Di Francesco Cucchi sappiamo molto grazie all’Archivio epistolare, donato dalla famiglia, conservato al Museo storico della città di Bergamo in città alta e alla Fondazione  Bergamo nella storia. Francesco Cucchi era un personaggio caro al Direttore del Museo Mauro Gelfi, che gli ha dedicato parte delle sue intense ricerche. E’ alla sua memoria e al mio ricordo personale di lui e della sua passione storica che dedichiamo il nostro approfondimento e ci perdonerà, dovunque egli sia ora, per qualche superficialità, essa non è voluta. Grazie Mauro
Prof Cristina Finazzi


L’autrice, Cristina Rota, ha scelto un linguaggio antico e a tratti vetusto  nonché aulico per calarsi nel tempo passato.
statua di Francesco Cucchi a Bergamo

Francesco Cucchi è nato il 17 dicembre 1834 nella città di Bergamo, da nobile famiglia di antico ceppo orobico che si distinse nei pubblici uffici.
Alla fine di luglio del '48 passarono nella Città 
Mazzini e Garibaldi . 
L'immagine dei due, allora sfortunati eroi, restò certo impressa nel suo cuore. 
Come la maggior parte della gioventù di allora il giovane Cucchi si alimentò e si formò sui proclami Mazziniani, letti di nascosto e contrabbandati attraverso la vicina frontiera svizzera, proclami che, permeati di misticismo religioso e quasi dettati da sentimento profetico, erano atti a scuotere  gli animi sensibili. 
Quando Francesco si iscrisse all'Università di Padova, nella facoltà di matematica,  vi trovò l'ambiente e la palestra per il perfezionamento della sua educazione storica e civile. Non ci si deve meravigliare che egli si iscrivesse ad una facoltà di scienze, piuttosto che ad una letteraria ed artistica: la scienza era anch'essa una tradizione di famiglia, e sarà questa ad educare la sua mente alla severa, spoglia, positiva scuola dei numeri. Il calcolo freddo, ma concreto, lo accompagnerà sempre negli eventi della sua avventurosa vita, e tempererà in lui  gli ardori romantici e patriottici giovanili, così da infondere al suo spirito un equilibrio singolare, un senso esatto delle proporzioni, del limite e della misura utilissimi a Garibaldi che affiancherà per un periodo. Per questo egli potrà essere oltre che un fervente patriota anche un sagace consigliere, un avveduto politico, un sottile diplomatico a cui l'esperienza aggiungerà prudenza nell'ideazione dei progetti, tatto e scrupolosità nell'eseguirli ed ammirabile sagacia nelle valutazioni complessive delle contingenze storico-politiche del suo tempo. 
Non appena inscritto all'Università, lasciò Bergamo per visitare parecchi Paesi tra cui la Francia e l'Inghilterra. Colà lo raggiunse la notizia che 
Vittorio Emanuele II , per vendicare l'onta subita dal padre a Novara dieci anni prima, aveva sguainata la spada, e si apprestava, con il suo valido alleato, l'Imperatore Napoleone III , a scacciare lo straniero dal sacro suolo della Patria. 

Il momento tanto sognato della prova era venuto, l'ora fatidica delle rivendicazioni patriottiche era scoccata. Ancorché egli fosse imbevuto in quel tempo d'idealità repubblicane, comprese come la monarchia sabauda, avesse assunto con un gesto sublime ed audace, su di sè il gravoso compito di liberare la Patria, facendosi in tal modo paladina e antesignana del movimento irredentista. 
Senza indugio, perciò egli corse, anzi si precipitò in Piemonte ad arruolarsi come volontario nel Corpo dei « 
Cacciatori delle Alpi » di Garibaldi, corpo a cui sarebbe spettato il compito di liberare le città alpine tra le quali anche la sua Bergamo
Sotto il fermo ed audace comando di 
Nino Bixio, seguì  tutte le vicende della campagna: dalle sponde del Lago Maggiore fino ai combattimenti sullo Stelvio. Guido Sylva afferma che il Cucchi partecipò ai combattimenti di Varese e di S. Fermo ed il 15 giugno agli scontri di Rezzato e di Treponti. Quando Garibaldi volse verso il Lago di Garda, il Nostro seguì il distaccamento di Bixio e si diresse verso la Val Camonica per penetrare, attraverso i passi alpini del Tonale e dello Stelvio, nel Trentino. 
Di questa campagna ci rimangono diverse lettere indirizzate  al fratello Luigi, in cui dimostra il suo ardente patriottismo e il bisogno ch'egli aveva di abbracciare gli avvenimenti nel loro insieme per cogliere lo svolgersi delle operazioni militari e comprenderne il senso anche politico e storico. Partecipò attivamente ai combattimenti dello Stelvio dove si distinse per il coraggio ed il valore dimostrati in parecchi scontri tra pattuglie. Si trovava a Breno quando lo raggiunse l'inopinata notizia dell'armistizio di Villafranca. 
Una lettera del 16 luglio 1859 al fratello Luigi,  da Breno:
 «..."Nei piccoli scontri che ebbimo cogli Austriaci allo Stelvio corsi mille volte pericolo de' quali ne sortii però felicemente. Già da due giorni le notizie politiche mi hanno conturbato in modo che non mi sento molto bene. Ecco 
ancora abbandonate, e forse per molto tempo, tante belle speranze. 
E la povera Venezia? E la Presidenza del Papa? E i Ducati e la 
Toscana dei quali non se ne parla neppure? Basta, è meglio non 
parlarne. Non ti dico il malumore che regna nel nostro Corpo... ». 

Con i preliminari di pace di Villafranca una campagna si chiudeva. Napoleone III, quando ormai sembravano vicine a realizzarsi le più rosee speranze della liberazione delle Venezie, abbandonò il suo alleato 
Vittorio Emanuele , contro la lettera e lo spirito dei patti firmati (accordi di Plobières 1858). Cucchi fu uno di quelli che  volle seguire Garibaldi e lasciato l'Esercito Regio, accettava di passare nell'Italia Centrale per muovere con l'Esercito della Lega (Toscana, Romagna, Parma e Modena) alla liberazione delle Marche. Garibaldi , che aveva apprezzato il comportamento del Cucchi sul campo di battaglia, ed aveva avuto modo di conoscere a fondo la fedeltà e le singolari sue doti di organizzatore e diplomatico — forse attraverso i lusinghieri giudizi dei Bergamaschi del suo seguito, soprattutto di Francesco Nullo —, lo chiamò a far parte del suo Stato Maggiore al comando della Divisione Toscana. 

Allo scorcio dell'aprile del 1860, viene incaricato da 
Garibaldi, assieme al Nullo, di arruolare volontari per una spedizione di soccorso all'insurrezione scoppiata in Sicilia in primavera contro il Governo borbonico. Le operazioni clandestine di leva furono presto ultimate e più di duecento furono i prescelti. Cucchi partì per Genova a darne l'annuncio a Garibaldi. Qui partecipò attivamente ai preparativi della spedizione che da molti era giudicata intempestiva e spericolata — intempestiva perché ormai i ribelli di Sicilia erano stati cacciati da Palermo sulle montagne, spericolata data la sproporzione numerica fra il Corpo di spedizione programmato e le truppe agguerrite che presidiavano l'isola. Bisognava improvvisare in quei giorni: dall'equipaggiamento alle divise, dall'armamento al vettovagliamento. Non vi erano né le armi nè le munizioni. Cucchi, col suo senso pratico, fu un elemento prezioso per Garibaldi. . 
Il 5 maggio il Cucchi salpa da Quarto e attende sino alle 4 del mattino del 6 per imbarcarsi sul « Lombardia » e salpare verso l'isola d'Elba. 
A Talamone  la nave si ferma per una breve sosta per caricare carbone, armi, viveri e munizioni e i nostri passano dal « Lombardia » sul « Piemonte » ed hanno così come compagno di viaggio verso l'isola lo stesso 
Garibaldi . Al Cucchi  è affidato il delicato incarico di sergente furiere dell'8° Compagnia costituita esclusivamente da Bergamaschi, Compagnia che sarà, per la sua omogeneità e compattezza, un duttile strumento di guerra. 
Infatti, appena sbarcata a Marsala, essa venne impiegata nei primi duri combattimenti dando luminosa prova del suo valore. 
Cucchi  si distinse in questi primi combattimenti per sangue freddo e coraggio tanto che venne promosso ufficiale ed aggregato al Quartiere Generale di 
Garibaldi. 
Il 28 maggio fu colpito da una palla di carabina sopra la clavicola della spalla destra. Fortuna volle che la palla rimbalzasse dalla spranga metallica di un fanale a gas e lo colpisse di striscio. Ciò gli salvò la vita, ma contribuì anche a rendere più dolorosa la ferita perché il piombo, scheggiato, si aperse a rosa, penetrando profondamente nelle carni. 
A coloro che volevano allontanarlo dal combattimento, appena dopo la ferita, egli si volge dicendo in dialetto bergamasco: l'è nagot, nàgot afacc; lassem chè per intat e seguitè a tegni durr. 
(trad. E' nulla, nulla del tutto, lasciatemi qui e continuate a resistere). 
Venuto meno fu trasportalo d'urgenza al Convento di S. Domenico. Neppure la lunga degenza a Palermo riuscì a lui infeconda: dal suo capezzale seguì con grande ansia, ma con fede sicura, le fortunate vicende della Campagna e potè studiare la reale situazione politica dell'isola all'indomani della liberazione. 
Il 4 giugno descrive, sempre al fratello Luigi , sia la situazione di Palermo dove le forze garibaldine, ridotte a soli 700 uomini, attendevano di giorno in giorno rinforzi, sia i tristi e deprimenti effetti del bombardamento navale sulla popolazione. 
La chiusa della lettera è profetica: « I Borboni non entreranno più a Palermo ». 
Finalmente, alla fine di agosto, i medici lo lasciano partire. 
Salpa col piroscafo, e sbarca a Napoli dove raggiunge il quartiere generale di 
Garibaldi. Chiede ed ottiene di essere inviato in prima linea al seguito di Stefano Türr. Gli è stato conferito sul campo il grado di maggiore e segue da vicino le operazioni.                                                                                                                   Come il Cucchi aveva previsto, è la capitolazione dei nemici, la fuga del Re Francesco II e la fine delle ostilità. Ma il compito del Nostro non è finito, anzi, incomincia allora il suo vero lavoro: quello politico. Mazzini era giunto a Napoli sperando di persuadere Garibaldi ad alzare la bandiera della Repubblica e marciare su Roma.                                                                                                                                                                      Il Quartiere Generale di Garibaldi in Caserta, in quei mesi decisivi di settembre ed ottobre, si era trasformalo in centro d'azione ed iniziativa politica dove vennero a collisione i vari partiti, le sette e le tendenze dell'epoca. Era la prima volta che, in effetti, il partito radicale italiano, quello rivoluzionario, operava su un terreno vergine, cioè aveva giurisdizione piena ed incontrollata su parte del territorio italiano. 
La rivoluzione aveva trionfato: 
Mazzini , Cattaneo , Ferrari e Bertani potevano contrastare seriamente la politica dei Gabinetti e dei Ministeri, svolgere una propaganda senza controllo, aprire le proprie idee al popolo in tutto il loro fascino avveniristico ed utopistico. I progetti erano molti, forse troppi, le ambizioni smisurate e tali da far spesso perdere di vista la meta immediata da raggiungere: l'unità 
e l'indipendenza della Patria prima della emancipazione del popolo e il riscatto delle plebi. 
La guerra, per lui come per 
Garibaldi , era una forma di manifestare il proprio spirito umanitario di aiuto ai fratelli oppressi, un bisogno per riscattare gli spiriti, per redimere gli uomini dalle oppressioni delle tirannidi, nelle loro diverse specie, in definitiva, un necessario anche se deprecabile strumento per il progresso e l'incivilimento umano. I veri scopi della guerra, nell'intendimento del Cucchi, si perseguono nella politica e nell'arte diplomatica attraverso la propaganda, il convincimento e Io studio delle possibilità di espansione e di unione dei popoli e delle nazioni. Questa fu la sua missione negli ultimi mesi vicino a Garibaldi durante L’impresa dei “Mille”.
Fonte: Alberto Agazzi  Le 180 biografie dei Bergamaschi dei Mille 1860
 Cristina Rota 5AL




“I fatti di Sarnico”
Garibaldi passò da qui…
Parlando di unità d’Italia spesso si fa riferimento alle grandi imprese senza pensare che esse coinvolsero anche i nostri paesi. Alla spedizione dei Mille, per esempio, parteciparono  432 lombardi di cui ben 180 provenienti da Bergamo, che ottenne così il titolo di “città dei mille”. Tra loro anche due sarnicesi: Febo ed Isacco Arcangeli. Quest’ultimo in particolare mostrò grande sentimento patriottico dapprima arruolandosi nel 1859 con i “Cacciatori delle Alpi”, cioè al corpo di volontari organizzato da Giuseppe Garibaldi a Torino nel 1859, per poi partire da Quarto con i Mille la notte tra il 5-6 maggio 1860. Conclusa l’impresa e ancora animato da spirito guerriero raggiunse nel 1863 la “Legione Italiana” in Polonia, dove ferito fu condannato a morte. La pena fu però commutata in dodici anni di reclusione e fu deportato in Siberia. Qui rimase 3 anni sopravvivendo a stento e, liberato grazie all’amnistia concessa dallo zar, tornò a Bergamo. Isacco è uno dei fondamentali  volontari che contribuirono a formare la nazione italiana, non solo unificandola territorialmente, ma soprattutto costruendo un tassello importante della nostra tradizione. Fu in questo periodo infatti che nacque l’Italia come soggetto politico partecipe alle questioni internazionali e fondamentale personaggio degli eventi mondiali successivi. Il nuovo stato non coinvolse però i cittadini solo come soldati di un paese indipendente, anzi la funzione principale di ognuno fu quella di membro costruttore dell’identità nazionale nella quale si riconobbero le generazioni successive. Il risorgimento è dunque un movimento politico di massa. Ne sono esempio gli eventi che accaddero nel 1862 a Sarnico. Garibaldi, consapevole del grande contributo militare della nostra provincia, pensò infatti di smuovere ancora una volta l’animo dei nazionalisti per organizzare l’annessione del trentino, in mano austriaca. Arrivò dunque a Trescore con la scusa di curarsi alle terme e raccolse i primi favori di volontari che si riunirono a Sarnico pronti a partire per il 30 maggio, come annunciato dalla “Gazzetta di Bergamo” e da altri quotidiani. Erano centinaia pronti a risalire la valle Camonica e calare su Trento sollevando le popolazioni locali, ma le decisioni di governo cambiarono e il fervore patriottico fu represso da numerosi sequestri. Il 14 maggio venne sequestrato dai Carabinieri, a Grumello del Monte, un carro carico di materiale esplosivo diretto verso il lago e lo stesso giorno a Sarnico furono arrestate 60 persone, trasferite alla cittadella militare di Alessandria. L’Eroe dei due mondi, nel frattempo soggiornò nella villa di Parigi Andrea, primo sindaco del paese, che, appoggiando la pressione popolare spedì una lettera alla procura di Bergamo per prosciogliere gli imputati e risolvere l’imbarazzante situazione. Pur uscendo vittima della repressione, il paese dimostrò un forte sentimento patriottico ancora ricordato dalla lapide affissa su Palazzo Orgnieri, di fronte a piazza Umberto I. Negli atti processuali tali avvenimenti sono citati come “fatti di Sarnico” e con questo nome restano alla storia.                                                                                                 
 Appare evidente nell’aneddoto narrato quale fu l’emozione istintiva che coinvolse l’opinione pubblica, allora mossa da un fervore patriottico puro e non influenzato da allegorie, simboli e riflessioni. Tutto questo e i numerosi errori della politica successiva sono parte del lemma “italiano”. Per ricordarci di essere tali, in un periodo nel quale il patriottismo sta scomparendo, è sufficiente guardarsi intorno e cogliere i ricordi nei luoghi di tutti i giorni, pensando alla storia come fatti concreti compiuti dai nostri compaesani che credevano veramente ai loro ideali.
Andrea Alberti 5AL

mercoledì 8 dicembre 2010

150 anni dall'Unità: indovinello!

Chi è il Signor Brown? Muore a Pisa nel 1872.
Chi indovina, è bravo.

Nei prossimi giorni qualche altro indizio..se non indovinate.