giovedì 9 dicembre 2010

150 anni dall'Unità: vista da noi....


FRANCESCO CUCCHI: un bergamasco di spicco tra i “Mille garibaldini”.
Di Francesco Cucchi sappiamo molto grazie all’Archivio epistolare, donato dalla famiglia, conservato al Museo storico della città di Bergamo in città alta e alla Fondazione  Bergamo nella storia. Francesco Cucchi era un personaggio caro al Direttore del Museo Mauro Gelfi, che gli ha dedicato parte delle sue intense ricerche. E’ alla sua memoria e al mio ricordo personale di lui e della sua passione storica che dedichiamo il nostro approfondimento e ci perdonerà, dovunque egli sia ora, per qualche superficialità, essa non è voluta. Grazie Mauro
Prof Cristina Finazzi


L’autrice, Cristina Rota, ha scelto un linguaggio antico e a tratti vetusto  nonché aulico per calarsi nel tempo passato.
statua di Francesco Cucchi a Bergamo

Francesco Cucchi è nato il 17 dicembre 1834 nella città di Bergamo, da nobile famiglia di antico ceppo orobico che si distinse nei pubblici uffici.
Alla fine di luglio del '48 passarono nella Città 
Mazzini e Garibaldi . 
L'immagine dei due, allora sfortunati eroi, restò certo impressa nel suo cuore. 
Come la maggior parte della gioventù di allora il giovane Cucchi si alimentò e si formò sui proclami Mazziniani, letti di nascosto e contrabbandati attraverso la vicina frontiera svizzera, proclami che, permeati di misticismo religioso e quasi dettati da sentimento profetico, erano atti a scuotere  gli animi sensibili. 
Quando Francesco si iscrisse all'Università di Padova, nella facoltà di matematica,  vi trovò l'ambiente e la palestra per il perfezionamento della sua educazione storica e civile. Non ci si deve meravigliare che egli si iscrivesse ad una facoltà di scienze, piuttosto che ad una letteraria ed artistica: la scienza era anch'essa una tradizione di famiglia, e sarà questa ad educare la sua mente alla severa, spoglia, positiva scuola dei numeri. Il calcolo freddo, ma concreto, lo accompagnerà sempre negli eventi della sua avventurosa vita, e tempererà in lui  gli ardori romantici e patriottici giovanili, così da infondere al suo spirito un equilibrio singolare, un senso esatto delle proporzioni, del limite e della misura utilissimi a Garibaldi che affiancherà per un periodo. Per questo egli potrà essere oltre che un fervente patriota anche un sagace consigliere, un avveduto politico, un sottile diplomatico a cui l'esperienza aggiungerà prudenza nell'ideazione dei progetti, tatto e scrupolosità nell'eseguirli ed ammirabile sagacia nelle valutazioni complessive delle contingenze storico-politiche del suo tempo. 
Non appena inscritto all'Università, lasciò Bergamo per visitare parecchi Paesi tra cui la Francia e l'Inghilterra. Colà lo raggiunse la notizia che 
Vittorio Emanuele II , per vendicare l'onta subita dal padre a Novara dieci anni prima, aveva sguainata la spada, e si apprestava, con il suo valido alleato, l'Imperatore Napoleone III , a scacciare lo straniero dal sacro suolo della Patria. 

Il momento tanto sognato della prova era venuto, l'ora fatidica delle rivendicazioni patriottiche era scoccata. Ancorché egli fosse imbevuto in quel tempo d'idealità repubblicane, comprese come la monarchia sabauda, avesse assunto con un gesto sublime ed audace, su di sè il gravoso compito di liberare la Patria, facendosi in tal modo paladina e antesignana del movimento irredentista. 
Senza indugio, perciò egli corse, anzi si precipitò in Piemonte ad arruolarsi come volontario nel Corpo dei « 
Cacciatori delle Alpi » di Garibaldi, corpo a cui sarebbe spettato il compito di liberare le città alpine tra le quali anche la sua Bergamo
Sotto il fermo ed audace comando di 
Nino Bixio, seguì  tutte le vicende della campagna: dalle sponde del Lago Maggiore fino ai combattimenti sullo Stelvio. Guido Sylva afferma che il Cucchi partecipò ai combattimenti di Varese e di S. Fermo ed il 15 giugno agli scontri di Rezzato e di Treponti. Quando Garibaldi volse verso il Lago di Garda, il Nostro seguì il distaccamento di Bixio e si diresse verso la Val Camonica per penetrare, attraverso i passi alpini del Tonale e dello Stelvio, nel Trentino. 
Di questa campagna ci rimangono diverse lettere indirizzate  al fratello Luigi, in cui dimostra il suo ardente patriottismo e il bisogno ch'egli aveva di abbracciare gli avvenimenti nel loro insieme per cogliere lo svolgersi delle operazioni militari e comprenderne il senso anche politico e storico. Partecipò attivamente ai combattimenti dello Stelvio dove si distinse per il coraggio ed il valore dimostrati in parecchi scontri tra pattuglie. Si trovava a Breno quando lo raggiunse l'inopinata notizia dell'armistizio di Villafranca. 
Una lettera del 16 luglio 1859 al fratello Luigi,  da Breno:
 «..."Nei piccoli scontri che ebbimo cogli Austriaci allo Stelvio corsi mille volte pericolo de' quali ne sortii però felicemente. Già da due giorni le notizie politiche mi hanno conturbato in modo che non mi sento molto bene. Ecco 
ancora abbandonate, e forse per molto tempo, tante belle speranze. 
E la povera Venezia? E la Presidenza del Papa? E i Ducati e la 
Toscana dei quali non se ne parla neppure? Basta, è meglio non 
parlarne. Non ti dico il malumore che regna nel nostro Corpo... ». 

Con i preliminari di pace di Villafranca una campagna si chiudeva. Napoleone III, quando ormai sembravano vicine a realizzarsi le più rosee speranze della liberazione delle Venezie, abbandonò il suo alleato 
Vittorio Emanuele , contro la lettera e lo spirito dei patti firmati (accordi di Plobières 1858). Cucchi fu uno di quelli che  volle seguire Garibaldi e lasciato l'Esercito Regio, accettava di passare nell'Italia Centrale per muovere con l'Esercito della Lega (Toscana, Romagna, Parma e Modena) alla liberazione delle Marche. Garibaldi , che aveva apprezzato il comportamento del Cucchi sul campo di battaglia, ed aveva avuto modo di conoscere a fondo la fedeltà e le singolari sue doti di organizzatore e diplomatico — forse attraverso i lusinghieri giudizi dei Bergamaschi del suo seguito, soprattutto di Francesco Nullo —, lo chiamò a far parte del suo Stato Maggiore al comando della Divisione Toscana. 

Allo scorcio dell'aprile del 1860, viene incaricato da 
Garibaldi, assieme al Nullo, di arruolare volontari per una spedizione di soccorso all'insurrezione scoppiata in Sicilia in primavera contro il Governo borbonico. Le operazioni clandestine di leva furono presto ultimate e più di duecento furono i prescelti. Cucchi partì per Genova a darne l'annuncio a Garibaldi. Qui partecipò attivamente ai preparativi della spedizione che da molti era giudicata intempestiva e spericolata — intempestiva perché ormai i ribelli di Sicilia erano stati cacciati da Palermo sulle montagne, spericolata data la sproporzione numerica fra il Corpo di spedizione programmato e le truppe agguerrite che presidiavano l'isola. Bisognava improvvisare in quei giorni: dall'equipaggiamento alle divise, dall'armamento al vettovagliamento. Non vi erano né le armi nè le munizioni. Cucchi, col suo senso pratico, fu un elemento prezioso per Garibaldi. . 
Il 5 maggio il Cucchi salpa da Quarto e attende sino alle 4 del mattino del 6 per imbarcarsi sul « Lombardia » e salpare verso l'isola d'Elba. 
A Talamone  la nave si ferma per una breve sosta per caricare carbone, armi, viveri e munizioni e i nostri passano dal « Lombardia » sul « Piemonte » ed hanno così come compagno di viaggio verso l'isola lo stesso 
Garibaldi . Al Cucchi  è affidato il delicato incarico di sergente furiere dell'8° Compagnia costituita esclusivamente da Bergamaschi, Compagnia che sarà, per la sua omogeneità e compattezza, un duttile strumento di guerra. 
Infatti, appena sbarcata a Marsala, essa venne impiegata nei primi duri combattimenti dando luminosa prova del suo valore. 
Cucchi  si distinse in questi primi combattimenti per sangue freddo e coraggio tanto che venne promosso ufficiale ed aggregato al Quartiere Generale di 
Garibaldi. 
Il 28 maggio fu colpito da una palla di carabina sopra la clavicola della spalla destra. Fortuna volle che la palla rimbalzasse dalla spranga metallica di un fanale a gas e lo colpisse di striscio. Ciò gli salvò la vita, ma contribuì anche a rendere più dolorosa la ferita perché il piombo, scheggiato, si aperse a rosa, penetrando profondamente nelle carni. 
A coloro che volevano allontanarlo dal combattimento, appena dopo la ferita, egli si volge dicendo in dialetto bergamasco: l'è nagot, nàgot afacc; lassem chè per intat e seguitè a tegni durr. 
(trad. E' nulla, nulla del tutto, lasciatemi qui e continuate a resistere). 
Venuto meno fu trasportalo d'urgenza al Convento di S. Domenico. Neppure la lunga degenza a Palermo riuscì a lui infeconda: dal suo capezzale seguì con grande ansia, ma con fede sicura, le fortunate vicende della Campagna e potè studiare la reale situazione politica dell'isola all'indomani della liberazione. 
Il 4 giugno descrive, sempre al fratello Luigi , sia la situazione di Palermo dove le forze garibaldine, ridotte a soli 700 uomini, attendevano di giorno in giorno rinforzi, sia i tristi e deprimenti effetti del bombardamento navale sulla popolazione. 
La chiusa della lettera è profetica: « I Borboni non entreranno più a Palermo ». 
Finalmente, alla fine di agosto, i medici lo lasciano partire. 
Salpa col piroscafo, e sbarca a Napoli dove raggiunge il quartiere generale di 
Garibaldi. Chiede ed ottiene di essere inviato in prima linea al seguito di Stefano Türr. Gli è stato conferito sul campo il grado di maggiore e segue da vicino le operazioni.                                                                                                                   Come il Cucchi aveva previsto, è la capitolazione dei nemici, la fuga del Re Francesco II e la fine delle ostilità. Ma il compito del Nostro non è finito, anzi, incomincia allora il suo vero lavoro: quello politico. Mazzini era giunto a Napoli sperando di persuadere Garibaldi ad alzare la bandiera della Repubblica e marciare su Roma.                                                                                                                                                                      Il Quartiere Generale di Garibaldi in Caserta, in quei mesi decisivi di settembre ed ottobre, si era trasformalo in centro d'azione ed iniziativa politica dove vennero a collisione i vari partiti, le sette e le tendenze dell'epoca. Era la prima volta che, in effetti, il partito radicale italiano, quello rivoluzionario, operava su un terreno vergine, cioè aveva giurisdizione piena ed incontrollata su parte del territorio italiano. 
La rivoluzione aveva trionfato: 
Mazzini , Cattaneo , Ferrari e Bertani potevano contrastare seriamente la politica dei Gabinetti e dei Ministeri, svolgere una propaganda senza controllo, aprire le proprie idee al popolo in tutto il loro fascino avveniristico ed utopistico. I progetti erano molti, forse troppi, le ambizioni smisurate e tali da far spesso perdere di vista la meta immediata da raggiungere: l'unità 
e l'indipendenza della Patria prima della emancipazione del popolo e il riscatto delle plebi. 
La guerra, per lui come per 
Garibaldi , era una forma di manifestare il proprio spirito umanitario di aiuto ai fratelli oppressi, un bisogno per riscattare gli spiriti, per redimere gli uomini dalle oppressioni delle tirannidi, nelle loro diverse specie, in definitiva, un necessario anche se deprecabile strumento per il progresso e l'incivilimento umano. I veri scopi della guerra, nell'intendimento del Cucchi, si perseguono nella politica e nell'arte diplomatica attraverso la propaganda, il convincimento e Io studio delle possibilità di espansione e di unione dei popoli e delle nazioni. Questa fu la sua missione negli ultimi mesi vicino a Garibaldi durante L’impresa dei “Mille”.
Fonte: Alberto Agazzi  Le 180 biografie dei Bergamaschi dei Mille 1860
 Cristina Rota 5AL




“I fatti di Sarnico”
Garibaldi passò da qui…
Parlando di unità d’Italia spesso si fa riferimento alle grandi imprese senza pensare che esse coinvolsero anche i nostri paesi. Alla spedizione dei Mille, per esempio, parteciparono  432 lombardi di cui ben 180 provenienti da Bergamo, che ottenne così il titolo di “città dei mille”. Tra loro anche due sarnicesi: Febo ed Isacco Arcangeli. Quest’ultimo in particolare mostrò grande sentimento patriottico dapprima arruolandosi nel 1859 con i “Cacciatori delle Alpi”, cioè al corpo di volontari organizzato da Giuseppe Garibaldi a Torino nel 1859, per poi partire da Quarto con i Mille la notte tra il 5-6 maggio 1860. Conclusa l’impresa e ancora animato da spirito guerriero raggiunse nel 1863 la “Legione Italiana” in Polonia, dove ferito fu condannato a morte. La pena fu però commutata in dodici anni di reclusione e fu deportato in Siberia. Qui rimase 3 anni sopravvivendo a stento e, liberato grazie all’amnistia concessa dallo zar, tornò a Bergamo. Isacco è uno dei fondamentali  volontari che contribuirono a formare la nazione italiana, non solo unificandola territorialmente, ma soprattutto costruendo un tassello importante della nostra tradizione. Fu in questo periodo infatti che nacque l’Italia come soggetto politico partecipe alle questioni internazionali e fondamentale personaggio degli eventi mondiali successivi. Il nuovo stato non coinvolse però i cittadini solo come soldati di un paese indipendente, anzi la funzione principale di ognuno fu quella di membro costruttore dell’identità nazionale nella quale si riconobbero le generazioni successive. Il risorgimento è dunque un movimento politico di massa. Ne sono esempio gli eventi che accaddero nel 1862 a Sarnico. Garibaldi, consapevole del grande contributo militare della nostra provincia, pensò infatti di smuovere ancora una volta l’animo dei nazionalisti per organizzare l’annessione del trentino, in mano austriaca. Arrivò dunque a Trescore con la scusa di curarsi alle terme e raccolse i primi favori di volontari che si riunirono a Sarnico pronti a partire per il 30 maggio, come annunciato dalla “Gazzetta di Bergamo” e da altri quotidiani. Erano centinaia pronti a risalire la valle Camonica e calare su Trento sollevando le popolazioni locali, ma le decisioni di governo cambiarono e il fervore patriottico fu represso da numerosi sequestri. Il 14 maggio venne sequestrato dai Carabinieri, a Grumello del Monte, un carro carico di materiale esplosivo diretto verso il lago e lo stesso giorno a Sarnico furono arrestate 60 persone, trasferite alla cittadella militare di Alessandria. L’Eroe dei due mondi, nel frattempo soggiornò nella villa di Parigi Andrea, primo sindaco del paese, che, appoggiando la pressione popolare spedì una lettera alla procura di Bergamo per prosciogliere gli imputati e risolvere l’imbarazzante situazione. Pur uscendo vittima della repressione, il paese dimostrò un forte sentimento patriottico ancora ricordato dalla lapide affissa su Palazzo Orgnieri, di fronte a piazza Umberto I. Negli atti processuali tali avvenimenti sono citati come “fatti di Sarnico” e con questo nome restano alla storia.                                                                                                 
 Appare evidente nell’aneddoto narrato quale fu l’emozione istintiva che coinvolse l’opinione pubblica, allora mossa da un fervore patriottico puro e non influenzato da allegorie, simboli e riflessioni. Tutto questo e i numerosi errori della politica successiva sono parte del lemma “italiano”. Per ricordarci di essere tali, in un periodo nel quale il patriottismo sta scomparendo, è sufficiente guardarsi intorno e cogliere i ricordi nei luoghi di tutti i giorni, pensando alla storia come fatti concreti compiuti dai nostri compaesani che credevano veramente ai loro ideali.
Andrea Alberti 5AL

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