LA VITA AL ''RIVA''



 4 passi con te





 Sporchi di fango, grandi nel cuore!
lettere dalla scuola....


“Oh il dubbio diventa una domanda e così, diventando preghiera, si va alla grande oppure si rimane fermi al punto in cui si è: vivere alla grande-lettere della scuola”. Vorrei partire proprio da questa frase, secondo me molto significativa, per descrivere il modo in cui io ricordo Mauro. Mentre camminavamo, o meglio arrancavamo, nel fango, ammetto che il mio pensiero era un po’ distratto, e non avevo voglia di riflettere. È stato al cimitero che ho iniziato a fare più attenzione, a “far diventare mia” la manifestazione vivendola pienamente, in ogni momento. È lì, di fronte a quella lapide bianca, vedevo qualcuno piangere. Di solito, anch’io mi trovavo le guance rigate dalle lacrime. Ma quest’anno ho scelto di non piangere: non che fosse una fatica, ma per me la morte inaspettata di Mauro ha significato molto, e non volevo ridurre tutto a un semplice pianto. Un pianto che finisce nel momento in cui si torna al mondo, fuori dal cimitero. Non volevo questo, anche se la tristezza abitava comunque il mio cuore. Mi sono lasciata cambiare da Mauro, anche se lui non lo sa; è stato grazie anche a lui se questo fatto oggettivo - che può essere la morte di un amico, un dolore, la malattia – è diventata domanda. Alla domanda: “perché è morto? Perché lo ha lasciato morire?” ho scelto di rispondere diversamente dal banale: “è la vita che è ingiusta”. Ecco, se dovessi incontrare di nuovo Mauro, non gli direi altro che: “Grazie”, perché la mia vita è diventata un percorso, un cammino in cui io posso davvero vivere, e non sopravvivere.
Lì, in quel cimitero, non stavamo ricordando la morte, ne sono sicura. Non stavamo celebrando la morte, ma la vita. La vita riscoperta come Mistero buono, come misteriosa realtà  che aspetta solo di essere abbracciato totalmente.
Grazie Mauro, di essere stato  e continuare ad essere  presenza della mia vita.







Come nei precedenti anni si è commemorata la scomparsa di Mauro. Alla partenza, la giornata si presentava uggiosa e già questo mi rendeva triste e malinconica.
Durante il cammino ricordavo il racconto fatto dal nostro professore, il quale ci ha raccontato  la storia del povero Mauro. Mentre camminavo riflettevo sul fatto che molti adolescenti siano ancora colpiti da malattie purtroppo mortali, da cui non vi è via di uscita.
Mauro era nel fior fiore della sua giovinezza e mai avrebbe pensato di dover lasciare tutti i suoi cari, i suoi amici e i suoi progetti, così, appena in giovane età.
Dentro di me pensavo anche ai suoi genitori che, per tutta la vita, porteranno con sè il ricordo del loro caro figlio.
Dopo circa un’ora di camminata siamo giunti nel luogo in cui è stato sepolto Mauro. Dopo i discorsi fatti da amici e parenti il mo cuore si è rattristato ancora di più. Nonostante questo la vita deve continuare, anche se per i genitori di Mauro ci sarà sempre un vuoto incolmabile, mancherà il loro angelo.
A volte di fronte a queste avversità della vita non ci si rende conto di quanto la vita sia bella; è perciò da vivere in modo sereno e semplice.
Tutto questo dovrebbe far pensare la gente a cui la vita non viene strappata via, ma se la butta via autonomamente senza dare peso alla sua importanza.


Durante la camminata “4 passi con te” ho provato varie emozioni. Già da qualche giorno prima l’avevo presa come un’occasione per sottrarre alcune ore scolastiche, passando del tempo con i miei amici per ridere e divertirmi con loro, soprattutto con un ragazzo con il quale ero in rapporto di stretta “simpatia”.
Sapevo il motivo della camminata, ma non immaginavo proprio come si sentissero gli amici e i famigliari di Mauro, non avevo mai perso un amico. Passai infatti tutta la mattina ridendo con la compagnia, durante la cerimonia di commemorazione per il ragazzo però eravamo zitti e ascoltavamo le lettere e i pensieri di quelli che leggevano. Le letture erano molto profonde e qualcosa nel mio cuore iniziò a capire che veramente  la vita è corta e in ogni istante potrebbe finire…
Non molto tempo dopo il mio amico, con il quale ho passato la mattina, ha fatto un incidente e ho capito come si sentivano in quel giorno i presenti e mi sono sentita uno schifo a pensare a quella camminata come uno svago!
Ora sto male e dentro il mio cuore c’è il vuoto che non riesco a calmare in nessun modo; solo con lacrime e dolore.






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Per il terzo anno consecutivo è stata organizzata una giornata in memoria di un nostro compagno.
La mattinata non dava certo speranza di un sole che avrebbe spaccato le pietre, ma i più coraggiosi volevano esserci.
Tanti vedendo il cielo coperto di nuvole, qualche goccia qua e là, avevano rinunciato; io non volevo mancare! Così, come tanti altri, munita di ombrello e impermeabile: via che si parte!
Fortunatamente, il tempo ci ha permesso una tregua e percorrendo le stradine per Adrara sono scappati alcuni scivoloni sul terreno bagnato che più che un sentiero sembrava un percorso militare.
Gli unici danni alla fine sono stati qualche jeans sporco e qualche paio di scarpe infangate (poverini quelli con le scarpe bianche!). Per il resto la stanchezza è stata superata dalla voglia di stare in compagnia, la fame appagata dal rinfresco che, come tutti gli anni ci aspettava all’arrivo, e la notizia dell’ennesima vittoria di marcia alla corsa, ci ha reso orgogliosi di lui. Insomma, tra una battuta e l’altra, tra i “rimproveri” a quei professori che hanno preferito un viaggetto in pulmino rispetto ad una sana camminata, il clima di serenità si placa in un pacato silenzio quando la parola passa alla mamma di Mauro. Come ogni anno ci fa un’esortazione a vivere una vita allegra, basata sul buon senso, affiancato alla voglia di pensare a un futuro pieno di cose buone.
Seguono altre testimonianze, silenzio. Nessuno osa disturbare questo clima di riflessione. Tutti hanno lo sguardo fisso su quella tomba. Anche da lontano si vede la foto di quel ragazzo sorridente. Attorno a lui, ancora una volta, la sua famiglia, i suoi conoscenti, noi. Vicino alla foto un mazzo fresco di fiori che i suoi amici più cari gli hanno portato in questo giorno che è solo per lui. A distanza di tre anni vedo ancora lacrime.
Certo non è facile ricordarlo e sapere che insieme a queste centinaia di ragazzi ci sarebbe potuto essere anche lui, a ridere, scherzare, cadere nel fango. Non c’è una risposta al perché sia successo, al perché proprio lui, al perché possa succedere a un ragazzo così giovane, così ambizioso, con così tanta voglia di vivere. Un applauso dà l’avviso che è tempo  di ritornare a casa. La vita continua; a volte la morte non guarda in faccia a nessuno, ma bisogna andare avanti, portando nel cuore l’insegnamento di chi, sicuramente, non avrebbe mai voluto vedere i suoi amici e genitori piangere.
So che se avesse potuto dirci qualcosa da lassù, ci avrebbe detto: “grazie a tutti, grazie di cuore; ma ora non pensate a me, io sto bene, sorridete, andate a casa e godetevi la vita, è la cosa più bella”.






Sabato 25 settembre siamo partiti con ombrello, scarponcini, felpa e impermeabile per raggiungere il cimitero di Adrara in ricordo di Mauro.
È stato molto bello vedere che se anche il tempo era pessimo e il fango era da ogni parte, i ragazzi hanno partecipato comunque perché è una situazione importante.
Infatti non bisogna dimenticare  che questo ragazzo,  anche quando stava male, voleva combattere, andare avanti e distruggere gli ostacoli. Aveva un’ottima personalità ma purtroppo la malattia ha avuto la meglio, lasciando nei cuori di chi gli voleva bene dolore, tanto dolore e molti ricordi che rendono la vita difficile.
È stato molto commovente quando hanno letto delle preghiere e dei pensieri per Mauro e quei momenti di silenzio esprimono, secondo me, i sentimenti di ognuno. Tutti i ragazzi presenti non avevano parole per descrivere ciò che provavano e quindi ognuno di noi dentro se stesso pensava a quel ragazzo e al fatto che al suo posto ci poteva essere lui/lei. La vita è preziosa e devi essere sempre grato alle persone che ti stanno vicino: gli amici e i parenti.
Per me è stata una giornata significativa, che ha permesso di riflettere e nello stesso tempo di dare conforto alla famiglia di questo povero ragazzo.





Come ogni anno la camminata in ricordo di Mauro è stata emozionante e commovente.
Inoltre il percorso era, questa volta, singolarmente distrutto a causa dall’enorme quantità di fango presente sul sentiero! Ma per quello che mi riguarda l’unico inconveniente è stato sporcare le scarpe.
Questa particola condizione, che ha permesso di passare un momento tra amici aiutandosi a vicenda nel percorso, mi piace.
Detto questo il momento commovente come al solito è stato quello della commemorazione vera e propria. Sentire la voce rotta dai singhiozzi della madre è sempre una cosa angosciante, ma nello stesso tempo fa riflettere, soprattutto noi giovani che siamo costantemente ricondotti allo sbaglio che può avere  condizioni tragiche. Penso quindi che quella dei “4 passi con te” sia una tradizione da non perdere, in onore di Mauro, e per le riflessioni a cui spinge tutti i giovani. Questa non deve essere considerata una giornata per non dimenticare la morte di un giovane ragazzo, anzi, deve essere interpretata come un momento di riflessione e di consapevolezza, di speranza e di gioia.
Non è un rito funebre né una celebrazione religiosa, quindi bisogna dare poco spazio alle lacrime per lasciare posto al sorriso, quel sorriso che bisogna tenere sul proprio volto sia nei momenti felici sia in quelli più tristi, perché la vita, tutto sommato, è un dono davvero bello che deve essere sfruttato al meglio.
Non conoscevo Mauro, ma mi raccontano che era un ragazzo semplice e allegro e che, nonostante la malattia, continuava a vivere in modo ammirabile, senza abbattersi e con la speranza nel cuore.
Un pensiero è doveroso anche al ragazzo di diciassette anni morto per un incidente stradale. In entrambi i casi si parla di destino ma si cerca di trovare un colpevole, spesso identificato in Dio. Non ritengo affatto giusto questo modo di pensare: la ricerca di un colpevole è lecita e sensata, ma quando non se ne trova uno, come nel caso di Mauro, bisogna farsene una ragione senza incriminare nessuno, umano o divino che sia. Al posto di soffermarci sulla tragica morte di un caro, cerchiamo di apprezzare tutti i momenti belli che ci sono stati concessi con quella persona. So che il mio invito non è cosa da poco e richiede tempo per essere accolto nel cuore di chi ha appena perso un fratello, un amico, un genitore o un figlio, ma questo, secondo me, è il miglior modo per affrontare momenti così difficili.
I genitori di Mauro hanno reagito e sono giunti ad organizzare una giornata che va a coinvolgere i circa 500 ragazzi del nostro istituto. Sono pochi, fortunatamente, coloro che ritengono questo giorno solo una perdita di tempo e decidono quindi di starsene a casa a farsi una dormita.
Per tutti quelli che invece hanno partecipato, credo siano opportuni un ringraziamento e delle congratulazioni: grazie per aver dato importanza a questa giornata e complimenti perché il clima non troppo favorevole, la fatica dovuta alla camminata o alla corsa e il fango in cui si sono imbattuti nel tracciato non li hanno fermati, ma anzi hanno costituito un ulteriore stimolo al raggiungimento della meta.

Anche quest’anno l’Istututo Serafino Riva ha mosso la camminata in ricordo di Mauro, alle quale hanno partecipato professori e studenti per non dimenticare ciò che egli ci ha insegnato : vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo. Come d’abitudine ci siamo avviati verso il cimitero di Adrara e, anche se quest’anno il tempo si è rivelato sfavorevole, è stato divertente sporcarsi di fango, come facevamo da piccoli quando non avevamo alcuna preoccupazione. Arrivati al cimitero e consumato il rinfresco,  ci siamo raccolti attorno alla tomba di Mauro per pregare ed esprimere così il nostro dispiacere. Durante la messa sono state di conforto le parole di tutti coloro che hanno espresso i loro pensieri e in particolare le parole del prete: gli uomini sono angeli incompleti perché hanno un’ala soltanto e quindi non possono volare, ma se questi si legano a qualcuno che amano, metteranno in comune la propria ala ed allora si che spiccheranno il volo. Detta così sembra una cosa tanto semplice ma, se ci si riflette, è legata a un sacco di significati, proprio come è la morte: cosa semplice perché immediata ma che lascia dei buchi irreparabili. È giusto morire? La morte non è mai giusta, perché nessuno se la merita, né grandi né piccini, tanto meno coloro che hanno commesso gravi errori. L’uomo però ha un grande pregio: quello di avere un grande cuore in grado di perdonare. La morte è una delle cose che spaventano un po’ tutti gli uomini ma sono sicura che non è la morte in sé a fare paura: a spaventare è il pensiero di non poter più stare vicino alle persone a noi care. Il più delle volte le parole dette in questi contesti potrebbero sembrare superficiali quando si è consapevoli che le persone a noi care non torneranno in vita, ma non è cosi perché queste ci inducono a riflettere ed è grazie alla riflessione che impariamo a fare attenzione a quelle piccole cose che avrebbero potuto cambiare il destino. È sconvolgente la quantità di ragazzi che muoiono ogni anno: basta pensare a Floryn e a Sara Scazzi, due giovani pieni di sogni proprio come siamo noi. È in situazioni come queste che tutti si chiedono… perché? Perché ciò è accaduto proprio a me? È inutile stare a farsi domande che non avranno mai una risposta valida.. piuttosto dobbiamo essere altruisti perché potremmo esserci stati al loro posto e sicuramente non ci avrebbe fatto piacere l’ indifferenza degli altri. Tutto ciò non significa che per aiutare queste famiglie possiamo far resuscitare i loro figli, piuttosto delle parole di conforto potrebbero fare molto. Le uniche cose che ci rimangono da fare sono: sperare, sperare che tutti abbiano l’opportunità di crescere stando accanto alle persone che si amano e pregare per coloro che sono morti per aiutarli a raggiungere il paradiso. Di conseguenza non è necessario avere tanta fede per pregare ma basta quella poca fede per fare grandi cose. Altri si chiedono: dove è Dio? Perché permette che succedano cose simili? Sono sicura che Dio non ci abbandona mai perché noi non possiamo sapere se egli in passato non li abbia già salvati. Per quanto riguarda Mauro, Flo, Sara e tutti gli altri ragazzi che hanno perso la vita nel fiore della loro giovinezza, penso che Dio abbia solo voluto riportare i suoi angeli al suo fianco. 
 

Non conosco il dolore che provano gli amici e i parenti di Mauro, non l'ho mai provato. La vita però ha dato a quel ragazzo l'occasione di farsi conoscere e amare.
Io dico che l'ha sfruttata, cammino e ci vedo tutti insieme per ricordarci che la vita continua. Le delusioni, le sofferenza, il dolore che proviamo è giustificato dai sorrisi che con la nostra presenza regaliamo a chi ci vuole bene.
La verità è che quando bisogna riflettere, si cade nel banale perchè non riusciamo a capire nulla...
Non capiamo quanto siano importanti le amicizie, il valore dei singoli attimi che viviamo.
Mi lamento di tutto quello che succede, macero la mia mente con pensieri che mi fanno solo male!
Non riesco a non farlo però.
Sembra strano ma invidio Mauro perché, sebbene ora non ci sia più, è stato in grado di lasciare qualcosa di sè. Io cosa lascerò? Parole? Emozioni? Ricordi? Foto? Forse qualche dipinto o canzone?
Chi lo può dire...
Tutti noi viviamo in bilico, cambiamo mille volte idea, ci sentiamo da buttare via; non siamo mai abbastanza… ma per vivere davvero non servono credenziali.
Se solo riuscissimo a convincerci di questo, vivremmo meglio.


E poi ci sono i dubbi, quei dubbi. Quelli che ti prendono di sorpresa, il fulmine a ciel sereno, che ti colpisce alle spalle. Ti mostra quanto tu sia giunto vicino ad un bivio, e quanto poco tempo ti rimanga per prendere una decisione. Ma poi arrivano, ancora più inaspettati, i lavori in corso, che ti obbligano a scegliere una determinata via. E tu ti senti si più disteso e rilassato, non dovendo più prendere l'ardua decisione, ma perdi anche quel brivido e quell'emozione della scelta, quella difficoltà con la quale ti volevi confrontare, restando un pò così, un pò indispettito.
Questo successe quel sabato mattina.
Ancora combattuto tra l'anteporre la gara podistica alla prima giornata di campionato (per di più  in casa) e viceversa, mi accorgo di avere un ginocchio più che dolorante, che mi impedisce sicuramente di correre, propendendo quindi per il match del primo pomeriggio. Inizio quindi a prepararmi tranquillamente per le camminata, anche se il tempo, cosi incerto, mi da qualche perplessità. Vestito quindi di tutto punto (tuta aderente e giacca impermeabile attillata) mi preparo per la scelta dei pneumatici, pardon, delle scarpe. E qui avviene un etico scontro generazionale: la cara mamma, dall’alto  della sua esperienza e professionalità, ti suggerisce un bel paio di scarpe  impermeabili e antiscivolo. Io, al contrario, propongo un bel paio di all-star di tela, forti solo del loro fascino e totalmente inadatte alla situazione.
Come è naturale che sia, la spunta il figlio, dopo qualche breve scambio di opinioni. E la spunta anche sull'ombrello, non un comodo, bello ed elegante ombrellino portatile, come suggerirebbe il genitore, ma piuttosto un ingombrante ed antiestetico ombrello scozzese di misure standard, più o meno come quello che si vede in mano alla maggior parte degli over settanta nelle giornate uggiose. Questo giusto per ricordare la celeberrima coerenza nelle scelte di noi giovani. Nonostante tutto però, la  sfida tra titani, cioè intendevo generazioni, si conclude in pareggio: le scarpe si riveleranno più che inadatte, già definirle prive di grip sarebbe un  eufemismo, permeabili all’acqua ancora di più. L'ombrello vintage invece, si rivelerà molto più utile, fungendo egregiamente, a seconda della situazione, ora da stampella per il povero ginocchio infiammato, ora da piccozza per superare i passaggi più duri ed infimi della fangosa via. Fortunatamente, non verrà mai chiamato a svolgere il compito per il quale sarebbe originariamente nato, grazie al tempo che va via via migliorando. Per la prima volta quindi, mi trovo a vivere i “quattro passi con te” con lo spirito e  nel modo in cui dovrebbero essere fatti: in compagnia, con la mente libera, alternando chiacchierate con gli amici a più serie riflessioni  personali. In questo modo si lascia da parte l'ansia, la fatica e lo stress della corsa e avanza la soddisfazione di arrivare al traguardo sereno, rilassato e sicuramente arricchito (spiritualmente). Il mio consiglio, quindi, è quello di provare a vivere i quattro passi con te in entrambi i modi, provando emozioni diverse ma allo stesso tempo simili, scegliendo infine ciò che più ci soddisfa, ciò che ci rende più felici. Il fango indelebile sulle scarpe  ed il ginocchio ancora piuttosto malconcio sono sempre qui, sempre pronti a ricordarmelo: al bivio, va’ dove porta il cuore.
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LA DUE GIORNI

Quest’ anno, la ‘Due Giorni’ di formazione della Consulta Provinciale Studentesca di Bergamo si è presentata nuova, ricca e interessante.
Martedì 9 e mercoledì 10 novembre io ed Alessandro Toti, rappresentanti della CPS, ci siamo recati agli Spiazzi di Gromo, in mezzo alla prima neve della nuova stagione invernale.
Quest’anno però non eravamo soli: con noi c’erano anche Ilaria, Laura e Marta, dello “Sportello scuola & volontariato”.
In rappresentanza delle diverse scuole di Bergamo e provincia, ci siamo incontrati per programmare un intero anno di lavoro. Obiettivo: dare a tutti gli studenti l’opportunità di essere ascoltati, di vivere da cittadini attivi nella scuola, di costruire e di partecipare alle mille iniziative di un anno scolastico.
SPIAZZI DI GROMO
“VIVA L’ITALIA: 150 ANNI DI STORIA E UN FUTURO DA COSTRUIRE” è stata la traccia che ha guidato la ‘Due Giorni’: il prossimo, importante compleanno della nostra Nazione  (17  marzo) era troppo importante e così lo abbiamo fatto nostro.
All’apertura dei lavori, sono stati proposti due incontri interessanti.
Il primo, a cura del professor Roffia – Dirigente dell’Ufficio Provinciale di Bergamo: ‘Cambia la scuola, manteniamo l’impegno’, ha dato delucidazioni  in merito alla riforma Gelmini. Il secondo incontro, a cura del prof. Marco Manzoni – docente dell’Istituto Sarpi di Bergamo – ‘Viva l’Italia:150 anni di storia e un futuro da costruire’, ci ha fatto fare un lungo viaggio alle radici della storia d’Italia, ed è stato caratterizzato dalla lettura di alcuni brani inerenti il tema proposto.
Nella rimanente parte della ‘Due Giorni’, suddivisi in commissioni, abbiamo dato il via al vero lavoro della Consulta,  
L’esperienza è stata, oltre che divertente,  molto produttiva, in quanto sono state programmate numerose attività. Purtroppo esse si svolgeranno quasi esclusivamente a Bergamo e ciò sarà un disagio per noi studenti del Serafino Riva; l’invito è comunque rivolto anche a noi!
Forse è ancora presto per parlarne, ma l’anno prossimo le nostre cariche di membri della CPS decadranno e saranno indette nuove elezioni. Invito quindi chi fosse interessato a diventare rappresentante del nostro Istituto a livello provinciale a rivolgersi a me o ad Alessandro per qualsiasi informazione. Da parte vostra occorrerà impegno e voglia di lavorare (e di andare a Bergamo qualche mattina), ma i risultati vi gratificheranno sicuramente!
 Andrea Bonassi


Stefano funge da cavia e sperimenta il neurowave


PROGETTO CO.RE. – BERGAMOSCIENZA 2010

Mercoledì 6 ottobre, la classe 4AL, unita ad altre classi dell’Istituto, ha partecipato al consueto appuntamento annuale con “Bergamo Scienza”.
“Bergamo Scienza” è un Festival di divulgazione scientifica che dal 2003 coinvolge la città, proponendo programmi fitti di eventi gratuiti. Lo scopo è portare la scienza "in piazza” e renderla fruibile a tutti, soprattutto ai giovani e alle scuole. Dal 1 al 17 ottobre si è tenuta la Ottava Edizione e il Serafino Riva non poteva certo mancare! Gli insegnanti hanno deciso di far aderire la classe a una particolare progetto proposto dal poliambulatorio Habilita San Marco nella omonima piazza in città. Habilita è una casa di cura riabilitativa con poliambulatorio specialistico. Al suo interno sono presenti palestre, ambulatori di radiologia e zone riservate a terapie ad onde d’urto e iperbariche.
L’iniziativa consisteva nel mostrare un particolare macchinario (apparecchio Neurowave) che, in Italia, solo pochi ospedali hanno in dotazione (uno degli ospedali a noi più vicino è l’ospedale di Zingonia, in provincia). Questa particolare macchina ha la funzione di monitorare una persona in stato vegetativo o in stato di minima coscienza; i citati sono stadi clinici in cui il paziente mostra profonde alterazioni delle attività cognitive a causa dell’ emersione dello stato di coma.
I medici, impegnati in questa iniziativa, hanno mostrato le varie strumentazioni che caratterizzano l’apparecchio. Per farlo, hanno preso un ragazzo come cavia e ad esso hanno applicato alcuni apparecchi utili per la cura. Tra questi una cuffia sulla quale sono presenti degli elettrodi. Grazie a questi elettrodi si può registrare un elettroencefalogramma giornaliero degli impulsi mentali dati dal paziente. Per stimolare delle reazioni a livello del cervello, inoltre, vengono utilizzati ben tre metodi strettamente legati a tre sensi: udito, tatto e vista. Per primo vengono periodicamente fatti ascoltare dei suoni al malato, successivamente si passa alla visione di alcune immagini proiettate su uno schermo che funge da computer, nel quale viene creato un piano di riabilitazione personalizzato e che, dunque, varia da paziente a paziente. Ad esempio, invece che semplici suoni, si possono far ascoltare delle canzoni alla persona in cura, che possono far scaturire sue reazioni. In uno stato vegetativo già più avanzato vengono usate delle immagini, anche delle foto; aiutano il paziente a riconoscere le varie persone che gli stavano vicino nella vita di tutti i giorni.
Infine, il meno usato, è l’impulso: una specie di scossa che viene data da uno strumento, applicato su un dito.
Tutto ciò però richiede soldi, tanti solidi. Proprio per questo motivo il macchinario è ancora in via sperimentale. Si vuol trovare un rimedio che sia il più efficace possibile a questo stadio, considerato vicino alla morte, ma che in realtà è ancora vita.
Eva Bettoni 4al


 LEZIONE DI VITA


Sono ormai alcuni anni che il nostro Istituto aderisce al progetto, proposto dall'ospedale Riuniti di Bergamo, alle scuole tutta la provincia.
Le classi  5TIM e 4TIM hanno potuto apprezzare il notevole sforzo e la grande professionalità di tutti gli intervenuti alla manifestazione. L'artefice di tutto ciò è il Dott. Mariangelo Cossolini, che da anni si spende nella realizzazione di un lavoro che porta centinaia di studenti a una maggior consapevolezza sul valore della vita, sul rispetto delle regole per tutelare la propria salute e quella altrui.
Anche quest'anno le attese sono state superate: di fronte a i ragazzi hanno testimoniato  persone, non solo ricche di esperienza e professionalità, ma più di tutto cariche di umanità e desiderose di trasmettere alle nuove generazioni quella genuina voglia di vivere e di divertirsi senza cadere in eccessi inutili e pericolosi.
I ragazzi hanno seguito con attenzione, soprattutto quando è stato trattato il tema  dei regolamenti legati all'alcool e alla patente; spesso ci si scopre imprudenti e anche piuttosto ignoranti riguardo a normative sempre in cambiamento.
Uno dopo l'altro scorrono i testimoni e giunge anche un uomo che a causa di una epatite ha dovuto subire due trapianti. Visibilmente emozionato e anche un po' impacciato racconta il suo calvario e la sua riconoscenza a chi, con grande solidarietà, gli ha permesso di rivivere e di continuare a sperare.
Siamo alla fine della mattinata e ci attende il momento più toccante. Entriamo nel reparto  di terapia intensiva con alcuni pazienti tenuti sotto controllo 24 ore al giorno, stanno in un letto che sembra un bozzolo formato da un groviglio di cavi e di tubi, con monitor per dare l'allarme e fornire un pronto intervento di medici e infermieri. Qui la vita si fa preziosa e il passaggio dalla sopravvivenza alla morte è legata a un filo, mentre fuori i familiari aspettano in agonia per ore o per giorni in attesa di sentire che il proprio caro è fuori pericolo e ce la farà.
I ragazzi sono ammutoliti; sanno che questo non è un film, è la vita che per un destino o per una disattenzione è segnata dal dolore, ma anche dalla speranza che ci tiene ancorati a questa terra e che, nella sfortuna di un trapasso, fa in modo che non tutto sia perduto e  qualcuno continui a vivere con una donazione di organi anche grazie a noi, se vogliamo.

Ø Avendo già passato l’esperienza di avere qualcuno nella mia famiglia che aveva bisogno di un trapianto, sapevo già,la maggior parte delle cose dette alla “lezione di vita” ,  altre no. È stato molto interessante sapere, cosa c’è dietro  un trapianto, ed è stato molto interessante sapere cosa c’è dietro a un trapianto, ed è stato molto interessante scoprire quante persone stanno in questa associazione (AIDO). Mi ha colpito il fatto di quanto con poco si possa uscire dal tasso alcolemico e di avere problemi per questo. Non credo ci sia molto da migliorare riguardo a  questa iniziativa, è già buona. Sarebbe stato più importante e interessante se ci fossero state delle testimonianze in più che riguardavano situazioni diverse.                                                            


Ø Secondo me è stata un’esperienza molto utile perché abbiamo sentito parlare dottori, infermieri e il responsabile dei vigili che convivono giornalmente con queste forme di malattia e incidenti. L’illustrazione di questo argomento è stata abbastanza dettagliata e mi ha fatto capire l’importanza di certe precauzioni che sembrerebbero banali. Comunque la cosa da cui sono stato colpito maggiormente, è stata la visita al reparto di terapia intensiva, nella quale ho potuto vedere con i miei occhi queste persone che sono veramente in brutte condizioni che ti fanno riflettere su come vivere la vita. Il parlare con il vigile e con i dottori è stato interessante anche se hanno detto cose che più o meno uno sa, mentre la visita nel reparto è stata veramente scioccante. Di consigli non ne ho, perché è stata una bella esperienza.


Ø L’esperienza è stata veramente interessante e mi ha aiutato a capire nuove cose ma soprattutto di riflettere su cose che già si sanno come l’importanza della vita. Da questa esperienza ho capito che basta ben poco per farsi del male con le proprie mani, compiendo azioni che per noi giovani sono “normali” come per esempio bere alcolici. Questo incontro deve aiutarci a ragionare, facendo pensare che c’è gente che purtroppo sta molto male e vorrebbe una vita sana come la nostra ma è costretta a stare nei vari reparti di terapia intensiva tenuta in vita da delle macchine. Il servizio è stato soddisfacente e non cambierei niente dell’esperienza anche perché è servita comunque a imparare nuove cose.


Ø La lezione offertaci è stata molto gradevole, di semplici parole e spiegazioni, ma di grande impatto soprattutto a livello morale. I campi toccati nell’argomentazione si incontrano nella vita di tutti i giorni solo che, come si mostrano a noi, sembrano meno rilevanti, ma realmente spiegati e dimostrati sono eclatanti. Come prima cosa mi ha colpito il fatto che certe persone si impegnino a divulgare tali notizie e come, giorno dopo giorno, portino avanti il tutto con grande  passione. Ho capito che la vita è un dono  e non dobbiamo scherzarci anche perché c’è gente che lotta veramente per la vita. E soprattutto potremmo essere la causa dei danni verso altri e ciò non è giusto. La scelta della donazione spetta a noi e al nostro essere, solo che ora sappiamo quanto ciò possa contare per altri. Infine non apporterei nessuna miglioria all’iniziativa  proprio perché  è perfetta.


Ø È stata una bella esperienza perché i problemi di questo tipo vanno affrontati subito al dunque. Le esposizioni fatte dai medici, dai testimoni e dai carabinieri di Bergamo sono state convincenti e abbastanza decisive. Poi la visita nel reparto dove ci sono i malati è stata  incisiva.


Ø Secondo me l’esperienza è stata molto istruttiva, mi ha fatto capire l’importanza della vita e ad avere cura di noi stessi. A mio parere avrebbe dovuto portare più persone con queste problematiche di vita, tipo un ragazzo sulla sedia a rotelle. Per il resto tutto assolutamente positivo.


Ø L’esperienza vissuta è stata molto utile e interessante. Grazie ad essa ho potuto capire l’importanza della vita; bisogna essere molto attenti e intelligenti nell’effettuare delle decisioni, perché uno sbaglio potrebbe costare caro ed essere  irreparabile. La donazione di organi è qualcosa di molto utile perché si salvano molte vite appesa da un filo. Le parole dette dai dottori e medici sono state molto incisive perché sono concetti reali che loro vivono in prima persona, quindi è bene ascoltare chi fa parte del mestiere nonché leggere i  giornali e guardare la Tv.


Ø L’esperienza vissuta all’ospedale di Bergamo nel reparto di terapia intensiva è stata molto forte in quanto ha fatto capire molte cose che noi giovani  spesso evitiamo di pensare, andando incontro al pericolo o alla morte. Credo che a volte dovremmo soffermarci a riflettere su quello che facciamo perché una volta fatto il casino, si possono avere tutti i rimpianti del mondo ma purtroppo non si può più ritornare indietro e recuperare il danno fatto. Per quanto riguarda il tema (donazione organi) credo che sia molto importante donare un organo, perché non doni solo un organo ma doni anche la possibilità ad un’altra persona di ricrearsi una nuova vita.

Ø Secondo me è stata un’esperienza veramente utile perché mi ha fatto capire che la propria vita è quella degli altri sono veramente importanti. Quindi non bisogna mai mettersi al volante dopo aver bevuto per due  motivi: il primo è che per noi neopatentati il limite equivale a zero e il secondo, il più importante, è che perdendo i riflessi si rischia di investire una persona e quindi ucciderla e di ammazzare anche noi stessi. Un’altra cosa importante è donare gli organi, perché si può salvare la vita di un altro essere umano.



Ø C’è un amico che conosco da sempre, ride ed è felice. Sorrideva anche quella notte quando ha perso la sua vita normale. Ora sorride perché in fondo è vivo, anche se seduto per sempre. Voglio bene al mio amico e mi piace guardare la sua serenità, assaporarla, sa di buono. E’ fortunato, circondato da chi lo ama. Ma domani? Domani non si sa. Oggi sorride, anche se non parla, anche se non cammina. Sorride e prende il sole, perché la vita è questo: accettare e vivere.


Ø L’esperienza fatta all’ospedale di Bergamo, mi è servita a capire ancora di più nello specifico le conseguenze e i danni creati e riportati dall’uso di alcool e altre sostanze dannose al nostro organismo. Premettendo che io non bevo e non faccio uso di nessun’altra sostanza, tutti gli interventi e le notizie fornite mi hanno fatto ancor di più credere che è meglio godersi la vita in modo differente con gli amici, invece di sprecarla nel bere e nelle altre sostanze. Tutto questo sta a significare che la vita è sola una e non bisogna bruciarla e sprecarla, ma goderla fino in fondo e viverla  ogni istante. CONSIGLI: sarebbe utile poter ascoltare l’esperienza e la capacità e volontà di vita di una persona che ha subìto un trauma e ha subìto la terapia intensiva.



Una goccia nell’oceano

Martedì 18 Gennaio, nell’aula magna dell’Istituto Superiore “Serafino Riva” di Sarnico, attraverso la testimonianza del missionario Don Angelo, siamo venuti a contatto con una realtà molto diversa dalla nostra. Don Angelo ci ha infatti raccontato la sua esperienza in Bolivia, precisamente nella città di Cochabamba e il suo racconto ci ha molto colpiti, perché la maggior parte della popolazione vive in condizioni misere e di degrado.
A Cochabamba è particolarmente triste la situazione dei bambini: in un centro ricreativo viene organizzato un doposcuola, per non far andare i bimbi in giro per strada a chiedere l’elemosina; gli viene data una merenda, che spesso è l’unico pasto della giornata e per evitare lo sfruttamento del lavoro minorile, gli viene offerto qualche soldo.
In Bolivia è poi particolarmente grave la situazione della sanità. Lo stato infatti fornisce cure gratuite solo ai bambini da zero a cinque anni e agli anziani con più di 65 anni, tutto il resto della popolazione non viene assistita. Le malattie non sono affatto poche: in alcune zone è facile contrarre malaria, dengue, e altre malattie legate al cibo che non è igienicamente accettabile. L’unica alternativa sono le cliniche private che non sono però accessibili alla maggior parte della popolazione a causa dei costi elevati.
Uno degli altri problemi è quello delle carceri: se i genitori non hanno a chi affidare i figli, sono costretti a portarli con loro in carcere. Inoltre, la polizia è corrotta e costringe i detenuti a pagare per avere i pasti e chi si oppone a questa estorsione viene picchiato e malmenato. I giovani che hanno compiuto piccoli delitti fortunatamente riescono ad evitare la prigione grazie alle case di accoglienza in cui vengono ospitati.
Quasi nessuno in Bolivia ha un lavoro fisso e un salario garantito ogni mese; la Bolivia è un paese ricco di risorse, ma queste vanno tutte a vantaggio degli altri grandi paesi industrializzati, soprattutto Stati Uniti e Brasile.
È stato interessante sentire una testimonianza di chi ha davvero vissuto a contatto con questa realtà, ma ad ogni modo è davvero incredibile che oggi ci siano ancora situazioni simili! Dovremmo ammirare quelle persone per tutti gli sforzi che fanno ogni giorno per sopravvivere, per la loro forza nel reagire e cercare di costruire condizioni migliori e noi dobbiamo aiutarle come possiamo.
Come ha detto Don Angelo, noi non siamo che una goccia nell’oceano, ma se ci uniamo e ci impegniamo veramente potremmo arrivare a qualcosa di ben più grande.

Roscigno Gianluca 2°AI





IL “SERAFINO RIVA” E LE MISSIONI

Tornato dalla Bolivia da un anno circa, mi chiedevo come sarebbe stato possibile far diventare la mia piccola esperienza un’esperienza apprezzata e magari anche imitata da altri.
       La dimensione della missione nella Chiesa ma anche solo l’impegno per gli altri e la conoscenza di “altre terre” sono patrimonio di tutti e quindi vanno imparati giorno dopo giorno. Anche a scuola, secondo me. E proprio in una scuola, la vostra, mi è stata data l’opportunità di parlare un po’ di quello che ho fatto in Bolivia e di come, con poco, si può essere nello stesso tempo utili agli altri e soddisfatti.
Ho presentato in poche parole i nove anni vissuti a Cochabamba e a Santa Cruz de la Sierra praticamente a tutte le classi, ricordando che è un esperienza limitata, una delle tante: io sono un prete mandato dalla diocesi di Bergamo in una terra che da quasi 50 anni è stata visitata e conosciuta da molti sacerdoti, suore e giovani laici. Chissà quante esperienze migliori o diverse ci sono!
Dire che ho catturato l’attenzione di tutti sarebbe esagerato, però ho visto in molti una sensibilità che fa ben sperare. Andare in missione, ma anche solo raccogliere qualche soldo per adottare un bambino, vuol dire aprire gli occhi e il cuore su una realtà che è più grande del nostro piccolo mondo; vuol dire interessarsi agli altri perché sono persone come me e sono miei fratelli.
E questo, se permettete, è più facile sentirlo in una parrocchia o in un oratorio più che in una scuola superiore. Per questo ho accettato l’invito dei professori di religione:  non è normale che una scuola adotti dei bambini nei 5 continenti o aiuti un missionario che è passato per Sarnico a dire la sua esperienza. Per questo complimenti a voi, ai vostri professori e preside!
Posso solo augurarmi che la maggior parte delle persone (studenti e docenti) condivida queste iniziative per poterle portare avanti con entusiasmo e continuità.
La generosità,  dovunque venga, è segno di ricchezza, di apertura, di interesse. La generosità economica, monetaria deve essere solo una faccia della generosità del cuore, dell’interesse e apertura all’altro.
Grazie per il vostro invito, la vostra accoglienza e il vostro ascolto.
Gracias y hasta pronto. A presto!                                                                
Don Angelo Roncalli


   
      Quel tesoro custodito nel cuore
     Sono alla scrivania della mia camera e cerco di ricordare ogni singolo attimo dei tre giorni appena trascorsi a Siracusa. Mi sembra di non essere mai partita. Il tempo, si sa, a volte è tiranno – proprio come quello di cui parlava la versione del Certamen – ed è volato via talmente in fretta che non riesco ancora a credere di esserci stata, a Siracusa. Non voglio dimenticare questa fantastica esperienza. Mi affido allora alla carta e alla penna e, scrivendo, lascio che i ricordi, che già sbiadiscono, prendano il sopravvento persino sulla mia mano e, quasi senza rendermene conto, inizio a riempire di parole il foglio bianco che mi sta davanti, colorandolo con tutti i momenti stupendi di quest’avventura che forse - e lo spero tanto – potrebbe non essersi ancora conclusa.
Ho talmente tanto di cui parlare, ma da dove cominciare? Le storie si raccontano dal principio, perciò farò così anch’io.
Con in spalla il nostro bagaglio di timori e speranze, per qualcuno di noi era il primo volo, domenica 27 marzo io, Luca e Alessia di 2AL e Nino di 3AL, accompagnati dal professor Pironti, siamo partiti di buon mattino alla volta dell’aeroporto di Orio al Serio per volare in Sicilia, dove si sarebbe svolto il Certamen Latinum Syracusanum, una gara di traduzione dal Latino all'Italiano, alla quale il profe ci aveva precedentemente iscritti.
Un sentito ringraziamento da parte mia e dei miei compagni di viaggio va alla nostra scuola che, sebbene stia subendo i colpi dei tagli ministeriali, ci ha permesso di partecipare al concorso, accollandosi le spese del viaggio e dell'alloggio.
Raggiunta in aereo Catania, siamo arrivati in autobus a Siracusa, carichi di energia ma anche un po’ agitati in vista della prova da svolgere l’indomani.
Non ci sono parole per descrivere il fascino di quella che un tempo era chiamata “Magna Grecia”, e in particolare della città che ci ha accolto, ospitato e ammaliato fin da subito con i suoi palazzi barocchi, le chiese, i vicoli, le grandi piazze e le infinite meraviglie archeologiche lasciateci dai Greci a partire dall’ VIII secolo a.C., quando anch’essi, stregati dalla bellezza del paesaggio siciliano, decisero di insediarvisi.
Lo scopo del nostro viaggio era, in primis, partecipare al Certamen, ma posso assicurare che, senza togliere importanza alla competizione, è valsa la pena impiegare il poco tempo fra il viaggio di andata, la versione, e quello di ritorno per contemplare alcuni fra i capolavori architettonici più belli della Sicilia, fra cui i resti del Tempio di Apollo, il famosissimo Duomo sorto dall’antico tempio dorico dell’acropoli, la fontana di Diana nella piazza dedicata allo scienziato siracusano Archimede, la fonte Aretusa e l’imponente castello Maniace, edificato da Federico II di Svevia nel XIII secolo. Ed sarà proprio questo stupendo castello sul mare a rimanere sempre nei nostri ricordi: non solo per la sua imponente architettura, ma soprattutto per avere avuto una guida d'eccezione. La professoressa Maria Pia Reale, organizzatrice e promotrice del Certamen Latinum Syracusarum da ormai venticinque anni, ci ha fatto da Cicerone, svelandoci la storia e le mille vicende che avvolgono le massicce mura di quella straordinaria fortificazione. Tutto ciò, però, quando ormai era già ora di far ritorno a casa. Il giorno prima, con la sveglia mattutina, l’aria carica di tensione per la prova, la traduzione di latino, il pranzo all’insegna dell’amicizia e la consegna degli attestati di partecipazione, era passato velocemete, portando via con sé anche la stanchezza dovuta alle ore trascorse in piena concentrazione. L'atmosfera magica di Siracusa ha allontanato lo stress della giornata ridipingendo così sulle labbra di tutti quel mega-sorriso che ci ha subito spinto a conoscere ragazzi di altre città. Roma, Torino, Napoli, Palermo, Luino: sono solo alcune luoghi di provenienza dei centottanta studenti del biennio-triennio di licei classici e scientifici che hanno partecipato alla gara. Conoscere i ragazzi di queste zone d’Italia con i quali abbiamo parlato, riso e scherzato, è stata un'esperienza indimenticabile, e ci siamo promessi di restare in  contatto e di rivederci l’anno prossimo.
Alla fine, un po’ a malincuore, abbiamo dovuto salutare la città che forse più di ogni altra, specialmente quest’anno che ricorre il 150° anniversario dell’unità d’Italia, ha unito giovani di età, scuola, abitudini e paesi diversi, venuti da ogni angolo della nazione per misurarsi in un combattimento a colpi di una lingua che tanti definiscono “morta”, ma che è in realtà viva nell’animo di ognuno di noi. La lingua latina ci ha dato la possibilità di incontrare l'Italia e di comprendere veramente il significato della parola “unità”. Come ha detto la professoressa Reale a noi studenti prima che iniziassimo la versione: “ l’importante non è vincere o perdere, ma fare ogni cosa insieme e con passione”. Ed è la passione per il latino che ci ha unito sotto le grandi ali di Siracusa, quella stessa passione che deve essere sempre al centro delle nostre vite, per permetterci un giorno, forse proprio come i grandi che hanno fatto l’Italia, di tagliare a nostra volta importanti traguardi e di crescere nella consapevolezza di quanto ognuno di noi, nel suo piccolo, sia importante”.
E così si è conclusa la nostra magica avventura: gli ultimi saluti affrettati, qualche foto ricordo e una pazza corsa all’aeroporto sono ciò che di più caro ci rimarrà.
Il tempo passa e ci sembra di essere tornati alla vita di tutti i giorni, ma sappiamo bene che sotto quel velo di quotidiana monotonia si nasconde parte del tesoro che abbiamo trovato a Siracusa, e che custodiremo sempre nel profondo del cuore.
Chiara Balducchi, 2AL


Gita a Monte Isola

Ciao ragazzi! E’ passato un anno e noi siamo ancora qui, anche se con una new entry: il nostro mitico Marcello che vi presenteremo meglio in un ‘altra occasione.
Vogliamo raccontarvi la gita a Monte Isola, che abbiamo fatto il 12 Aprile.
Siamo andati tutti accompagnati dalle assistenti educatrici, Silvia e Ingrid e i nostri mitici insegnanti di sostegno Panarosa e Cordaro.
Ci siamo diretti ad Iseo con il pullman e da lì, con il battello, siamo arrivati a Monte Isola.
Abbiamo deciso di fare una passeggiata e di recarci al parco di Peschiera dove avremmo trovato tavoli da pic-nic per il nostro pranzo al sacco ma ….. cammina, cammina……. siamo giunti a Menzino …..
Figuratevi voi…… due ore di passeggiata tutta in salita!!!!!!
A “salvarci” un cartello con scritto: “passeggiata al lago-BAIA DEL SILENZIO. Convinti di costeggiare il lago per tornare a Peschiera, abbiamo intrapreso quel sentiero.
Giunti alla Baia, ci siamo accorti che i tavoli da pic-nic c’erano, ma non le toilette e nemmeno la strada che ci avrebbe ricondotto al battello.
Quindi, direte voi, cosa abbiamo fatto?!
L’idea era di “prendere in prestito” una barca a remi ma, giustamente non si poteva fare.
Le intraprendenti assistenti hanno cercato un sentiero di risalita più facile…. ovviamente anche quello tutto in salita! Mentre noi ragazzi con gli insegnanti di sostegno attendevano con impazienza il loro via libera. Stremate dalla salita e riluttanti all’idea di tornare alla Baia, le assistenti hanno lasciato il compito di ricondurre il gruppo al paese ai coraggiosi insegnanti. Tutti insieme ci siamo diretti all’imbarcadero per tornare a Iseo, dove ci siamo ripresi mangiando un gustoso gelato in riva al lago. Verso le 18, tutti stanchi affaticati, siamo giunti a Sarnico dove i corrispettivi genitori ci aspettavano per portarci a casa. Fatica a parte è stata una bellissima gita ed ora vi lasciamo in compagnia delle foto più significative.

Luca, Marcello, Fabio e Giulia



SERAFINO ROTA’S TRAVEL



Nella giornata dell’8 aprile 2011, con il professor Anselmo Zamblera, io, Giulia Chitò, Giampaolo Marinaro, Marta Millauro, Adele Belotti e Marta Alegre, ragazza portoghese ci siamo inoltrati in un’avventura, già vissuta altre volte, ma speciale come non mai. 
Nonostante la levataccia abbia abbassato la capacità di conversare, come sempre, noi redattori eravamo “attivi”; pronti ad affrontare sei lunghe ore di treno e un pomeriggio pieno di emozioni…
Dopo aver passato tutta la mattina salendo e scendendo dai treni, la redazione aveva un unico scopo: il pranzo!
Saziati, ci incamminiamo per il paese e raggiungiamo il punto d’incontro.
Il presidente di Alboscuole inizia la cerimonia, che si rivela alquanto interessante in particolare per una di noi, una sorpresa, diciamo, inaspettata…
Dopo un paio di gruppi per la selezione di “Giornalista per un giorno”, Giulia si sente chiamare sul palco e lo raggiunge col profe.
Grazie a un articolo pubblicato sul numero dell’anno precedente partecipa alla premiazione fra i primi 52 redattori su più di 18000 totali!
Allietati da alcuni piccoli spettacoli abbiamo concluso il pomeriggio e ci siamo recati alla stazione di Chiusi in partenza per il ritorno.
Un’altra sorpresa, ancor inaspettata ma non troppo favorevole; i treno era in ritardo di un’ora e mezza! Inizialmente contenti per il fatto di perdere una giornata di scuola, comprendiamo solo più tardi che era abbastanza lunga come avventura…
Troviamo una soluzione e ci prepariamo psicologicamente a vagare per Bologna per quattro ore!
Dopo altre cinque ore di viaggio, finalmente, raggiungiamo la stazione di Rovato… verso le 7 del mattino.
Siamo tutti morti… troppo stanchi, ma allo stesso tempo contenti per l’avventura appena passata.

Caritas con i poveri

Lunedì 18 Aprile 2011 la nostra classe ha svolto un incontro sulla povertà durante la terza ora di lezione della professoressa Masullo. L’incontro è stato condotto da una rappresentante della caritas diocesana che ci ha fatto svolgere delle attività e ci ha annunciato la visita alla caritas di Villongo. Dopo un primo veloce momento di conoscenza, la rappresentante della caritas ci ha posto una domanda, che tutti noi pensiamo sia scontata e facilissima ma che in realtà non lo è: “Cosa è la povertà?”. Noi abbiamo dato le più svariate risposte e per me le più significative sono state: “Una persona che non ha dove vivere” e “Una persona che non può permettersi di mangiare”. Successivamente abbiamo avuto un piccolo momento di dialogo con la rappresentante che ci ha spiegato che non si è mai poveri per scelta e che le cause della povertà sono molteplici. Le cause della povertà sono principalmente collegate alla perdita di lavoro o alla disoccupazione. Una persona senza lavoro che deve mantenere una famiglia, con un mutuo o un affitto da pagare, non riesce ad arrivare a fine mese anche perché è difficile che riceva aiuti dalla famiglia o dagli amici perché sono nella stessa condizione. Inoltre abbiamo capito che non si è mai poveri per scelta, perché la vita del povero è durissima e nessuna persona normale sceglierebbe quella vita. Durante questo incontro abbiamo svolto un esercizio da fare a gruppi dove avevamo tre inizi di storie in cui sembrava tutto normale e poi una domanda sul perché questa persona era diventata povera. Dopo le nostre risposte la rappresentante della caritas ci ha fornito le vere risposte e  le conclusioni. In queste tre storie i “protagonisti” erano diventati poveri per  frode, per divorzio e per alcolismo. Quest’ultima storia ci ha insegnato coma la caritas aiuta anche le persone con problemi non solo economici. Queste risposte ci hanno un po’ stupito perché noi pensavamo che si diventasse poveri quasi solo per la perdita del lavoro e invece anche persone con un lavoro ma con altri problemi (alcolismo, divorzi e frodi) sono diventate povere. Questo esercizio è stato proposto per farci capire che le cause della povertà sono molteplici e noi non possiamo neanche immaginarle tutte!
Sabato 14 maggio 2011 abbiamo svolto la seconda parte dell’incontro sulla povertà, facendo una visita d’istruzione alla caritas di Villongo. Appena arrivati abbiamo visitato il primo edificio della caritas dove vengono distribuiti i vestiti e i mobili ai bisognosi. I vestiti sono solo quelli tenuti meglio e in ottime condizioni infatti sono tutti controllati e lavati prima di essere consegnati ai poveri perché anche loro, come tutti, sono persone dignitose e quindi devono vestirsi in modo dignitoso. I volontari della caritas ci hanno detto che i capi d’abbigliamento che sono più richiesti sono le scarpe infatti di quelle non c’è n’erano molte.
Poi abbiamo visitato il settore dell’edificio contenente i passeggini, le culle, i lettini e tutto il necessario per i neonati e i bambini. Successivamente abbiamo visitato il reparto dei mobili, dove vi era qualche divano e qualche armadio e mobili in generale. I volontari della caritas vanno a ritirare i mobili e per questo non chiedono soldi e portano i mobili alla caritas solo se sono in ottime condizioni altrimenti li portano direttamente in discarica. Per tutte queste cose (capi d’abbigliamento, mobili materiale per i neonati) la caritas chiede un piccolo contributo simbolico. Questo contributo serve per far capire ai poveri che le cose hanno un valore perché è capitato ancora che una persona ne prendesse una gran quantità  e poi le buttasse via mentre tornava a casa. Il contributo è veramente piccolo e viene usato per comprare pannolini e pappe per i neonati, ma se una persona è cosi povera da non riuscire a versarlo le cose che ha preso gli vengono date lo stesso. Dopo aver visto queste cose ci siamo spostati negli “uffici amministrativi” della caritas e li abbiamo fatto un lungo e piacevole incontro con i responsabili della caritas di Villongo. Durante questo incontro ci hanno detto che i volontari della caritas non ricevono nulla, neanche per i rimborsi spese. Poi abbiamo parlato degli alimenti che danno ai poveri e che sono tenuti per la maggior parte in un magazzino, sempre a Villongo, ma distaccato dalla sede da noi visitata. Ogni 15 giorni la caritas distribuisce una borsa alimentare contenente 4 pacchetti di pasta, 1 pacchetto di riso, 1 scatola di fagioli, 1 scatola di tonno, 1 scatola di pomodoro e a volte del formaggio grana e/o del burro. Considerando che la maggior parte di queste borse alimentari sono prese da delle famiglie, la quantità di alimenti è veramente scarsa ed è impossibile per una famiglia arrivare a due settimane con questi alimenti. Questo denota come anche la caritas senta la crisi economica contemporanea, infatti le donazioni sono sensibilmente diminuite e far quadrare i conti a fine mese diventa difficile. Per autofinanziarsi d’estate i volontari fanno un lavaggio d’auto al costo di 6 euro. L’unione europea tramite il fondo per la fame fornisce degli alimenti alla caritas e questo è un aiuto ai poveri. I poveri serviti dalla caritas di Villongo sono più o meno 150 famiglie quindi quasi 600 persone solo nella località del Basso Sebino che è considerata una delle più ricche della zona. La maggioranza dei poveri sono marocchini, poi senegalesi e albanesi e infine gli italiani che sono in aumento negli ultimi periodi.
Sono stato molto colpito da quest’esperienza con la caritas diocesana perché ho capito che la vita di un povero è difficilissima con pochissime persone che lo aiutano. Un fatto che mi ha particolarmente colpito è che la borsa alimentare, che dovrebbe durare 15 giorni, è veramente misera e una famiglia non arriverà mai a mangiare due settimane con quegli alimenti. Mi ha colpito la presenza di molte famiglie italiane povere perché credevo fossero assenti e invece anche loro sono una realtà presente non solo sul nostro territorio ma in tutta Italia.
Dobbiamo fare tutto quello che possiamo per aiutare questi poveri perché un giorno potremmo trovarci anche noi nella stessa situazione e allora un aiuto sarà molto gradito.

Algisi Lorenzo   3AI   

Valentina Polini 4^AL

Praga
Lunedì 4 aprile 2011 dal parcheggio della scuola, alle ore 5.00, le classi terza, quarta e quinta dell'indirizzo Igea sono partite per una gita, che si sarebbe rilevata fantastica.
La destinazione era la capitale della Repubblica Ceca.
Praga è il centro politico e culturale della Boemia.
Viene denominata anche “La madre della città”, “Città delle cento guglie” e “Città dell'oro”.
È situata sulla Moldava.
Le sue principali attrazioni turistiche, che nei giorni a seguire abbiamo visitato, sono: Staré Město, alcuni luoghi legati a Franz Kafka, Malà Strana, il castello di Praga, la Cattedrale di S.Vito dove sono conservate le relique più importanti della Chiesa cattolica boema: quelle dei santi Vito, Venceslao, Adalberto, Sigismondo e Giovanni Nepomuceno; il Ponte Carlo (Karlŭv most), il vecchio cimitero ebraico e il quartiere di Nove Město.
Il viaggio è stato abbastanza lungo, è durato ben tredici ore, ma siamo sopravvissuti.
La sera, pur non essendo potuti uscire ed essendo stanchi, siamo lo stesso riusciti a divertirci.
La mattina del secondo giorno è stata dedicata alla visita del Castello Reale, della Cattedrale di San Vito, del Palazzo Reale e la Basilica di San Giorgio.
Il castello di Praga è il castello più grande al mondo.
Alcuni suoi edifici sono residenza dei sovrani.
Il castello comprende la Cattedrale di San Vito, dove venivano incoronati e sepolti i re boemi, è stata costruita da San Venceslao; il Palazzo Reale e la Basilica di San Giorgio.
Dopo pranzo gli alunni hanno potuto girare liberamente per il centro di Praga e all'ora stabilita, come altre volte, ci si ritrovava nel punto prefissato: sotto l'orologio astronomico (Staroměstsky Orloj). Ad ogni scoccare delle ore si mette in atto un meccanismo che mette in movimento le figure, con il sottofondo di una melodia.
Purtroppo non abbiamo potuto assistere a questo spettacolo, poiché l'orologio era in stato di manutenzione, però ad ogni ora dalla cima dell'orologio un uomo si metteva a suonare uno strumento musicale.
Anche la sera siamo stati liberi di girare per le vie della città, che anche di sera era  viva, con i negozietti aperti e tanti turisti ancora in circolazione.
È strano circolare in una città straniera e incontrare tanta gente proveniente da diverse parti d'Italia.
Il mercoledì mattina, invece, è stato dedicato alla visita della Fortezza di Terezin e il suo campo di concentramento.
È terrificante passare in quelle stanze,  se si pensa che lì sono morte migliaia di persone.
Solitamente gli alunni prendono questi luoghi di visita con molta leggerezza e spensieratezza, ma se ci si fermasse a pensare anche un attimo, ci si accorgerebbe di quanti errori gravi sono stati commessi nella storia, non così tanto lontana da noi.
Il pomeriggio è stato dedicato ancora alla visita della città.
Si sono visitati il Ponte Carlo, la Chiesa di S. Nicola e di S. Tommaso.
Si doveva visitare anche il vicolo degli alchimisti, ma purtroppo, anche quello, era in fase di restauro.
Il Ponte Carlo collega la Città Vecchia al quartiere di Mâla Strana.
Alle due estremità del ponte vi sono due torri che servirono come fortificazione.
Percorrendo il ponte, ci si imbatte in tante statue che raffigurano dei santi.
Per la sera si era organizzata la navigazione della Moldava con il battello.
Con questo giro turistico si possono mirare le meraviglie di Praga nell'atmosfera notturna.
Le parti più belle e importanti sono illuminate e ciò favorisce la visione di uno spettacolare paesaggio.
È veramente incantevole Praga di notte, si notano particolari che durante il giorno sfuggono o al quale non si dà particolare importanza o rilevanza.
Il giorno seguente, il viaggio è continuato nel quartiere ebraico, composto da sinagoga nuova e vecchia, dalla Maislova, dal klaus, dal cimitero e dall'ex ghetto.
Il quartiere  è uno dei più antichi della città.Nel cimitero ebraico ci sono una infinità di lapidi. Qualcuno sostiene che depositando il proprio desiderio scritto su un foglietto, esso si realizzi.
La sera, per sfortuna degli studenti, non siamo potuti uscire poichè l'hotel non era in centro alla capitale bensì in Praga 8 e l'autista non ci avrebbe potuto portare, perchè il giorno dopo avrebbe dovuto sostenere il lungo e drammatico viaggio di ritorno.
La mattina dell'ultimo giorno è arrivata, si preparano le valigie.
Si scende per fare colazione, tutti hanno delle facce stravolte:  chi aveva dormito poco e chi non aveva proprio chiuso occhio per tutta la notte.
Alle 8 con malinconia si sale sul pullman e ci si dirige verso la strada, che ci avrebbe riportato a casa.
Il viaggio di ritorno sarebbe potuto durare di più, che non sarebbe stato un dispiacere per nessuno, eccetto forse per l'autista.
Nessuno voleva tornare alle rispettive case.
Si era creata un'atmosfera speciale fra i ragazzi.
Nell'ultimo tratto si è cantato a squarciagola ma avremmo voluto continuare a cantare per tante altre ore.
Gli ultimi saluti  nel piazzale dove cinque giorni prima si era effettuata la partenza.
I cuori erano già pieni di nostalgia per una gita che aveva riempito di emozioni e ha fatto crescere un po' ognuno dei partecipanti.
È stata un'esperienza indimenticabile che rimarrà sempre impressa nei ricordi di chi l'ha vissuta .
Qualche disagio si è verificato con le cene, che non sempre erano di nostro gradimento, ma l'importante è aver vissuto al massimo questa esperienza, che non tornerà più indietro.
Il tempo fortunatamente è sempre stato bello e non ha causato disagi.