lunedì 6 giugno 2011

150 ANNI dell'UNITA': l'economia nel risorgimento bergamasco


L’economia nel Risorgimento Bergamasco -FONDAZIONE BERGAMO NELLA STORIA
La dominazione austriaca, prima, e quella napoleonica, poi, influirono pesantemente sull’economia del territorio orobico, in particolare su quei settori più sviluppati quali erano l’industria siderurgica, tessile e serica.
I motivi sono evidenti: una volta conclusi gli scontri militari, molti di questi stabilimenti ridussero di molto le proprie vendite agli eserciti.
Il settore siderurgico, nelle zone della “Valle di Scalve” e di Lovere e Edolo, si sviluppò molto grazie alle guerre, ma non riuscì ad accumulare patrimoni sufficienti a garantire investimenti nella meccanizzazione degli strumenti utilizzati e nell’alimentazione degli altiforni, al fine di renderli più efficaci. Esso rimase comunque attivo anche al termine degli scontri, tanto che 17 fabbriche riuscirono a garantire un posto di lavoro a circa 800 operai.
Al contrario, subì grandi contraccolpi economici l’industria della lana: ora i soldati non dovevano più essere vestiti; inoltre, i territori che prima venivano usati come pascoli, furono privatizzati, costringendo i pastori a pagare un affitto per poterli sfruttare; nondimeno, la lana prodotta era sfruttata male, poiché i tessuti creati erano di scarsa qualità. Ciò causò una grande difficoltà nel mercato dell’”export”.
Anche il settore serico fu colpito pesantemente, al punto che molte attività (più di dieci nel giro di tre anni) furono costrette a chiudere. Si presentò anche un anno di carestia che abbatté la produzione dei bozzoli, portandone il prezzo da 17 a 41 lire.
Certo, la colpa non è da imputare esclusivamente alla sfortuna. Purtroppo i bergamaschi di quel periodo mancarono di virtù imprenditoriale, quindi non sfruttarono al meglio questi settori molto importanti per il territorio. I proprietari delle fabbriche non riuscirono a sostenere la richiesta di un mercato sempre più in crescita, al punto che nel 1815 furono importati oltre 950 quintali di seta greggia e filata. In verità, ci fu anche chi, come la famiglia Riccardi, Piazzoni, Carissimi e altre, affiancò alle proprie filande degli impianti di filatura, così da rendere più efficace la produzione dei tessuti.
Queste situazioni si verificarono però solamente in città, o in particolari aree come quella del trevigliese o di Alzano. Per il resto, la filatura restava ancora molto arretrata. Tutto ciò mette in evidenza un motivo fondamentale della crisi economica: la filatura era ancora troppo legata all’agricoltura (infatti nelle campagne non c’erano i filatoi vicino alle fabbriche), invece di essere fortemente industrializzata come negli altri Paesi europei.
La crisi del ’15, alimentata da un’epidemia di tifo petecchiale e dalla carestia, si ripercosse anche sull’andamento demografico, che subì un calo nei tre anni successivi, soprattutto nelle zone caratterizzate da colture montane, quali valle Brembana (-21,6 %) ed alta valle Seriana (-8,03 %).
Nonostante si accentuasse lo squilibrio tra produzione e consumo per alcune derrate alimentari come frumento, riso, granoturco e orzo, la produzione di bozzoli fu discreta, in particolar modo nel 1818, quando le principali filature, dislocate nei distretti della Bassa (Treviglio, Caravaggio, Romano), di Alzano, della Val S. Martino e di Bergamo, impegnarono circa 6 mila unità. Anche la fabbricazione di panni di lana segnalò una momentanea ripresa dopo la crisi degli anni precedenti, dando lavoro a 10 mila operai nella Val Gandino e nei paesi limitrofi. Il settore siderurgico, al contrario, restava in crisi e non dava cenni di ripresa.
Non è da trascurare, infine, la presenza di numerosi mulini, di officine a carattere artigianale per la lavorazione del legno, delle industrie per la spremitura dell’olio, di macine e delle tre importanti “fabbriche di organi musicali”, che, complessivamente, fornivano lavoro a circa 2 mila individui.
In conclusione, è certamente da elogiare la grande operosità dei bergamaschi, la quale, per quanto non sia sempre stata supportata da una grandissima intelligenza e tecnica economica, è un’importante esempio del “rimboccarsi le maniche”. È certamente grazie ai nostri antenati che ora possiamo vantare l’undicesimo posto nella classifica dei PIL su un totale di cento tre province.



Stefano Foresti
Marco Fratelli

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