venerdì 3 giugno 2011

150 ANNI dell'UNITA': Non solo medici nel risorgimento...

Bergamo e la medicina nell’800
                                                               
Gianantonio Piccinelli, Giacomo Facheris, Giovanni Palazzini e Federico Alborghetti, nomi che sicuramente a ben pochi ricorderebbero qualcosa.
Nonostante ciò, essi ottennero grande fama come dottori, prevalentemente nel territorio bergamasco, ma non solo.
E anche grazie a loro quindi che, una parte di popolazione vissuta nell’ottocento, è stata risparmiata alle numerose malattie infettive, tra le quali sembra d’obbligo ricordare la peste.
Primo fra tutti, non per ordine d’importanza, ma per semplice cronologia, è Gianantonio Piccinelli.
Egli nacque a Scanzo, un piccolo paese della bergamasca, nel 1754.
Cresciuto in una famiglia di dottori, decise presto di prendere le vesti del padre, allora chirurgo.
Dopo essersi dedicato agli studi umanistici, seguì le lezioni di anatomia e di chirurgia del professore Moscati a Milano, considerato allora “uno dei restauratori dell’italica chirurgia”.
Grazie alla sua devozione e bravura, dimostrate all’università, alla morte del professore, ottenne la nomina di primo chirurgo dell’ospedale Maggiore di Bergamo.
Nei decenni a cavallo tra fine settecento e inizio ottocento era già considerato il più bravo chirurgo di tutta la città.
 Inventore di nuovi metodi efficaci in chirurgia, fu fortemente contrastato da alcuni tra i più dotti medici, uscendo però sempre vittorioso da tali confronti, e guadagnandosi la nomina di riformatore della chirurgia bergamasca, che gli permisero poi di portare la scuola chirurgica di Bergamo alla pari di quella milanese.
Dal 1787 al 1794 diresse e pubblicò l’Almanacco dei Medici chirurghi, nel 1794 divenne chirurgo dei carcerati e del manicomio, nel 1797 ispettore delle infermiere dell’ospedale civile e nel 1798 fu nominato vaccinatore del Dipartimento del Serio, riuscendo a conservare poi il  pus vaccino nel 1814.
Fu in seguito uno dei primi che si impegnò nella vaccinazione di massa contro il vaiolo, iniettando il pus vaccino a molti bambini.
A questo punto seguirono una serie di promozioni, che fortificarono ancora di più la sua figura di medico.
Divenne quindi magistrato del Dipartimento del Serio, amministratore centrale e componente del magnifico consiglio di Bergamo, e fu grazie a lui che l’ospedale maggiore riuscì ad ottenere il possesso dei beni del monastero da parte di Napoleone Bonaparte, che permisero alla struttura sanitaria di continuare a funzionare.
Ormai responsabile della scuola di chirurgia, anatomia e ostetricia dell’ospedale di Bergamo, una volta morto, nel 1831, donò all’ospedale un cospicuo lascito di denaro e numerose attrezzature chirurgiche, di cui oggi non si hanno più tracce.
Lasciò inoltre una serie di pubblicazioni scientifiche e di inediti, tra cui vi sono alcune lezioni di chirurgia e discussioni con altri chirurghi al tempo noti.
Tra le sue teorie più importanti compare quella della ostetricia, che divenne poi cura per alcune malattie veneree e la flebotomia, conosciuta oggi come chirurgia minore.
Durante la sua carriera utilizzò solamente farmaci semplici, rifiutando  altri rimedi allora nati dalla superstizione.
Nella chirurgia eccelse per l’estrazione della pietra dalla vescica, riuscendo a spiccare tra i medici europei e italiani, nel taglio degli aneurismi, nella sistemazione delle ossa slogate e nella riduzione delle ernie incarcerate.
L’alta chirurgia non gli fu tanto riconoscente; egli infatti, in questo campo si limitò solamente a esercitare tecniche imparate dai suoi maestri.
La città di Bergamo lo ricorda e lo onora tramite due busti, uno  situato nella sala d’anatomia dell’ospedale, e con due lapidi.
Di tutt’altri percorsi universitari fu invece Giacomo Facheris, nato nel 1771, che studiò a Padova, conseguendo la laurea in medicina nel 1788.
Trasferitosi a Pavia si dedicò all’agraria e alla botanica, dopodiché nel 1791 tornò a Bergamo.
Aveva appena esposto la sua tesi in cui spiegava la differenza tra lo scorbuto e la pellagra.
Qui, venne assunto come medico ordinario e responsabile dell’orto botanico.
Grazie alla produzione di nuovi farmaci ricavati dalle erbe, si guadagnò la fama di medico esperto e colto studioso.
Inizialmente lavorò come professore di botanica nel liceo cittadino e nell’ospedale maggiore, per poi essere licenziato a causa di una riforma che sosteneva la soppressione della cattedra di agraria e di botanica.
Una volta divenuto direttore dell’ospedale di Bergamo, si dedicò ai malati di petecchia, e nel 1820 divenne medico provinciale, professione che esercitò fino alla morte.
Le due sue opere più importanti sono: “Le Malattie del Dipartimento del Serio”, dove si classificano le malattie che allora affliggevano il bergamasco, e “l’Orto botanico dell’ospedale maggiore”.
Morì il 7 Luglio 1830, lasciando ai suoi successori epistole di confronto con altri importanti medici.
Altro esponente importante, che lavorò al fianco di Giacomo Facheris, fu Giovanni Palazzini (1784-1845). Allievo presso la scuola di chirurgia dell’Ospedale Maggiore di Bergamo, Palazzini intraprese presto la carriera di chirurgo presso ospedali militari, a Pavia e nel Canton Ticino, partecipando anche ad alcune campagne militari.
Egli si distinse non solo nella chirurgia, ma dimostrò una notevole competenza anche nello studio di malattie dell’epoca (febbri, colera, vaiolo), conquistandosi la fama di illustre patologo.
Ormai conosciuto in tutta la città, egli iniziò a collaborare con le riviste scientifiche del tempo, esponendo i suoi lavori negli Annali Universali di Medicina, scrivendo molte opere di trattato medico in cui erano descritti i metodi con cui era riuscito a curare le malattie studiate.
Dopo una gloriosa vita morì nel 1845 a Bergamo. Successivamente un gruppo di amici decise di consegnare il suo ritratto al Comune, dove tutt’ora è custodito.
Ci sono altri personaggi invece, come Federico Alborghetti (1825-1887), che non si dedicarono solo alla medicina; egli infatti, oltre ad esercitare la professione di medico, fu anche giornalista e ricercato oratore.
Inizialmente si iscrisse all’università di medicina di Pavia, ma dopo che scoppiarono i moti del ’48, fu costretto ad interrompere gli studi e divenne il protagonista a Mapello della eroica guerriglia di Palazzago, un tentativo di insurrezione concordato con Giuseppe Mazzini.
Laureatosi in medicina nel 1884, si arruolò nei Cacciatori delle Alpi e partecipò con Garibaldi alle imprese di Varese e di San Fermo. L’8 giugno, inoltre, decise di fare parte del gruppo dei garibaldini che entrarono nella città di Bergamo dopo che gli Austriaci si erano allontanati. Egli seguì l’esercito fino alla conclusione della guerra e, a San Martino e Solferino, si prodigò nella cura dei feriti durante una delle principali battaglie della seconda guerra d’indipendenza.
Appena dopo l’Unità, svolse la professione di medico, diventando per un certo periodo medico condotto di città alta.
Nel periodo in cui lavorò presso l’ospedale, prese parte al dibattito che si sviluppò nella città riguardo alla sistemazione di Astino, schierandosi dalla parte di coloro che erano contrari alla costruzione di una nuova sede in un altro luogo della città, soluzione che alla fine prevalse.
Dal 1878 al 1882 lavorò presso la Commissione di studio sulla pellagra con il compito di quantificare il numero degli ammalati e di proporre provvedimenti, in modo da far fronte a questa malattia che da oltre mezzo secolo si faceva strada nelle campagne bergamasche.
Infine, dopo aver diretto la “Gazzetta di Bergamo” per 12 anni e aver composto numerosi saggi, si ritirò a Bergamo, dove morì il 21 settembre 1887.
Tra le sue più importanti opere ricordiamo le “Notizie Patrie” e il “Dizionario biografico degli italiani”.
                                                                                                                                 Millauro Marta
                                                                                                                                 Suardelli Laura

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