venerdì 21 gennaio 2011

150 ANNI UNITA' D'ITALIA: Franceco Nullo, il prode

Bergamo e i suoi prodi….
alla prima spedizione di Sicilia e Napoli contano in prima riga i prodi figli di Bergamo [...] G. Garibaldi ».
(ex atti Museo Storico di Bergamo)

174 bergamaschi partono con Garibaldi nella Spedizione dei Mille, dando ottima prova di sé, come testimonia lo stesso Garibaldi nella lettera datata 10 febbraio 1864 e indirizzata all'allora sindaco Camozzi.
Tra questi 174 spicca, animato da un profondo spirito patriottico, Francesco Nullo (Bergamo, 1826 – Krzykawa, 5 maggio 1863), figlio di Arcangelo e Angelina Magno, commercianti di tele di lino. Già nel 1848 lo troviamo con i suoi due fratelli a fianco della popolazione milanese nelle barricate delle “Cinque giornate” di Milano, fatto che gli causò parecchi problemi con la polizia austriaca. Nel 1859 si unì a Garibaldi nelle file dei Cacciatori delle Alpi per combattere contro gli austriaci.
Prima della spedizione garibaldina in Meridione, si occupò personalmente dell’arruolamento dei volontari nella propria città che, visto il grande numero di adesioni, si poté fregiare dell'appellativo di Città dei Mille. Inoltre si dice che, grazie alla sua attività nel campo dei tessuti, fornì le camicie rosse utilizzate dai garibaldini nella suddetta spedizione.
Scrisse sul Libro d'Onore dei volontari bergamaschi:

« Io sono superbo di appartenere alla valorosa schiera dei figli di Bergamo che fregiano i fogli di questo libro d'onore e di vedere il mio nome accanto a quelli di tanti compagni d'armi »
(Bortolo Belotti, Storia di Bergamo e dei bergamaschi, Bergamo, ed. Bolis, 1989)
Ebbe una carriera militare assai veloce, che lo vide passare dal grado di capitano (dopo il suo ferimento a Calatafimi) a quello di tenente colonnello, per terminare a quello di generale. Nel 1862 venne arrestato con altri 123 garibaldini mentre organizzava una spedizione per la liberazione del Veneto. Continuò ad essere fedele compagno di Garibaldi anche nella seconda spedizione in Sicilia con lo scontro d'Aspromonte.
Dopo la caduta del governo Rattazzi, a causa della generale indignazione per i fatti d'Aspromonte, il nuovo primo ministro Farini incoraggiò Nullo a formare una legione di volontari per intervenire al fianco degli insorti polacchi contro la dominazione russa, assicurando il proprio intervento presso il Re, affinché dichiarasse guerra all'Impero russo. Farini venne considerato pazzo e costretto alle dimissioni, ma Nullo riuscì a partire per la Polonia, alla testa di una formazione raccogliticcia di circa 600 volontari italiani e francesi, tra i quali una sessantina di camicie rosse. Nonostante l'inesperienza degli insorti polacchi, si batté con un coraggio tale da creare attorno a sé un alone di invulnerabilità e procurasi l'ammirazione di tutti. Cadde in battaglia trafitto da un proiettile cosacco il 5 maggio 1863.
Ebbe solo il tempo di sussurrare, in dialetto bergamasco: ” So mort !”.
Diversi altri italiani furono uccisi in questo scontro ed alcuni furono fatti prigionieri e deportati in Siberia. In Polonia Nullo è considerato un eroe nazionale, tanto che, anche durante gli anni della guerra fredda, un console andava a Bergamo per rendergli omaggio ai piedi del monumento che la sua città natale gli ha dedicato.
Ilaria Mussinelli 5AL



Pietro Volpi, uno dei Mille
Attraverso queste poche parole vorrei dar voce a tutti quei giovani di ieri, che hanno inseguito il sogno dell’unità d’Italia e per essa hanno combattuto consapevolmente fino all’estremo sacrificio; vorrei far comprendere come l’unità rappresentasse davvero l’aspirazione collettiva e condivisa dagli italiani del tempo, e che fu il senso di identità e di appartenenza a permettere ai nostri soldati di combattere. Forse bisognerebbe riflettere sul fatto che i nostri coetanei di quegli anni furono capaci di sacrificarsi per un ideale, di appassionarsi, di fare ogni genere di rinuncia. Il senso del dovere, lo spirito di sacrificio, l’amore per i propri cari sono i valori intensamente vissuti, e testimoniati dai giovani protagonisti di questa missione.
Pietro Volpi è il figlio del medico condotto di Zogno, che a 17 anni, quando ancora era studente al quarto anno del Liceo Classico “Paolo Sarpi” di Bergamo, decise di abbandonare la scuola per unirsi ad alcuni compagni decisi a lasciare una loro traccia nella storia.
La sera del 5 Maggio scrive una lettera da Quarto che testimonia molto bene quello che era lo spirito davvero patriottico che animava i Mille:

“Carissimi genitori,
Viva l’Italia! Vado in Siciglia, vado a combattere per la Patria. Se vado io contro il vostro volere perdonatemi. Ho creduto di fare bene alla Patria. Ma siccome tu, o papà, non ti opponevi a ciò, io veduta la bella occasione mi arruolai. Spero che voi mi perdonerete. Siamo partiti da Bergamo a un’ora dopo la mezzanotte, ora cinque maggio, giorno, a Genova e alle ore sei del medesimo giorno ci imbarcheremo per la Siciglia. Per la strettezza del tempo non posso scrivere a lungo, ma in Siciglia se potrò spedire lettere, vi scriverò ancora.
Addio dunque; se il ciel mi aiuta spero di vedervi ancora.
Addio, ricevete un bacio.
Ubbidientissimo figlio Pietro Volpi
Salutate le care sorelle
Genova, 5 maggio 1860”

In un’altra lettera, scritta da Castel Vetrano il 14 giugno 1860, Pietro Volpi racconta dello sbarco a Marsala, della battaglia di Calatafimi, di Garibaldi che buttò nella mischia i trecento uomini dell’ Ottava Compagnia, quella dei bergamaschi. Esprime, come in tutte le altre corrispondenze, affetto e nostalgia per i genitori e le amate sorelle.

Castel Vetrano, 14 giugno 1860
“Carissimi genitori,
dopo aver fatto un felice viaggio, il giorno undici siamo sbarcati a Marsala; ma però, se avessimo tardato u[…]  quarto d’ora il viaggio, i pesci avrebbero  fatto un buon pasto di tutti noi, impercioché, appena sbarcati giunsero due fregate nemiche le quali cominciarono a bombardare la città, ma si allontanarono subito, non avendo potuto fare nulla. Il giorno dopo ci incamminammo alla volta di Palermo; ma appena giunti in vicinanza di Calatafimi, ci incontrammo con il nemico il quale era il numero duemilacinquecento. Allora Garibaldi fece avanzare la prima e l’ottava compagnia, composta di solo trecento bergamaschi e all’ora una pomeridiana si incominciò l’attacco, il quale durò tre ore circa e io restai ferito nella gamba destra al ginocchio, ma senza pericolo. Il nemico fu sbaragliato interamente e messo in fuga. Noi feriti fummo trasportati a Vite e il giorno dopo ci trasportarono a Calatafimini dove fummo trattati come cani. Poscia ci trasportarono a Castel Vetrano dopo siamo trattati come principi.
Ora che sono rifiorito in salute e anche la gamba sta guarendo, camminando ancora con le stampelle, voglio che volino a voi le mie prime parole allegre e vi facciano fede della dolce memoria che io serbo e serberò di voi. E voglio che voi crediate che in mezzo al mio affanno la vostra immagine occupa la mia mente e il mio cuore; il pensiero dell’amor vostro e quello delle mie care sorelle, mi conforta l’anima e rivolgeva spesso i miei sospiri in vere lacrime di tenerezza. Se verrò a casa vi racconterò le cose più gravi; adesso non posso dilungarmi perché la posta sta per partire.
Preparatevi a mandarmi qualche cosa perché, quando sarò a Palermo, vi scriverò ancora.
Dunque addio, addio, salutatemi le sorelle e i parenti tutti, il Nando, presto spero di rivedervi.
Sono il vostro figlio ubbidientissimo, Pietro Volpi”.

Proprio ubbidientissimo Pietro Volpi non fu! Come ricorda Sylva nel suo libro “L’VIII compagnia dei Mille”, per la sua capigliatura arricciata “che fa l’effetto di un ammasso di spine, viene da Bandi ribattezzato Carciofo, nomignolo con il quale noi lo appelliamo poi sempre e di cui si chiama ancora adesso”.
La battaglia, in cui rimase ferito Pietro, fu proprio quella in cui Garibaldi, a Brixio che consigliava di ritirarsi, rispose: ”Brixio che dite mai? Qui si fa l’Italia o si muore”.
Al ritorno dalla sua avventura nel meridione Pietro volle per sua scelta ripetere la classe. Nel 1864 si iscrisse all’università di Pavia nella facoltà di medicina, per seguire il volere del padre. Due anni dopo rispose alla chiamata di Garibaldi arruolandosi tra i cacciatori delle Alpi, partecipando così alla Terza Guerra d’Indipendenza.
Nella corrispondenza con la sorella Teresa emergono le difficoltà dei momenti trascorsi in guerra: l’utilizzo dei nuovi fucili, gli scontri, il malcontento diffuso, le voci di pace.
Terminata la Guerra Pietro Volpi ritornò a Zogno, dove fu costretto ad abbandonare gli studi di medicina perché ammalato. Trascorse il resto dei suoi giorni curando le proprietà, e per non venir meno agli impegni presi dal padre, finanziò i restauri della Chiesa di Zogno. Morì a Zogno il 21 gennaio 1911.
Bortolo Belotti, ne “I cinque zognesi dei mille” scrive di Pietro Volpi: “uomo di poche parole e riservato, ma pur tuttavia con gli intimi socievole e amabilmente ironico, passò in ombra la sua vita. Lo ricordo ancora nell’albergo Italia, revocare vicine e lontane memorie, come lo ricordo presente in ogni manifestazione patriottica, nelle quali era simbolo vivo se pur taciturno”.

Guardare questa immagine suscita non poca emozione, sono i superstiti Bergamaschi dei Mille in occasione del cinquantesimo anniversario della spedizione. Hanno la barba bianca, il bastone e le medaglie sul petto; Pietro Vollpi è uno di loro (il primo a destra, seduto in basso). Sono gli uomini che solo cinquant’anni prima furono protagonisti di una delle più straordinarie imprese della storia italiana.  
Giada Zanini 5AL

4 commenti:

  1. Il nostro collega Corrda Penna scrive:

    "Ippolito Nievo, garibaldino, scrittore e poeta, moriva trentenne nel 1861 durante il naufragio nel mare di Amalfi del battello Ercole che lo trasportava da Palermo a Napoli per motivi d'ufficio, inerenti la sua opposizione alla cattiva gestione colonialistica dei nuovi territori italiani annessi .Molti sono i sostenitori che il naufragio non fu un incidente ma voluto per eliminare un oppositore che sapeva troppo ....


    Ippolito Nievo, l’autore de Le confessioni, uno dei più bei romanzi italiani dell’Ottocento, partecipò alla Spedizione di Garibaldi del 1859. Nel corso della navigazione verso le coste siciliane gli fu affidato l’incarico di Vice Intendente, il che comportava la responsabilità dell’amministrazione del corpo di spedizione e, in seguito, dell’Esercito Meridionale. Un incarico pieno di responsabilità questo, suscettibile di critiche che divennero malevole e spesso calunniose nella lotta fra le fazioni che vedevano contrapporsi Cavour e Garibaldi.

    Fu proprio per difendersi da queste calunnie, che avevano trovato nella stampa dell’epoca una tribuna ascoltata e temuta, che Nievo fu costretto a redigere un Rendiconto nel quale dimostrava, con meticolosa precisione, l’operato suo e di tutta l’Intendenza.

    Fare ricorso a quella stesura fu una mossa corretta, tuttavia nel fascicolo erano contenute notizie riservate, della specie che non sarebbe stato opportuno rivelare.

    Nievo partì da Palermo con il vapore Ercole la sera del 4 marzo 1861: a bordo c’erano ottanta persone tra equipaggio e passeggeri e, custodito in una voluminosa cassa, il Rendiconto con tutti i documenti giustificativi che lui aveva predisposto.

    Il console amburghese Hennequin, che a Palermo curava gli interessi del Governo di Londra, aveva cercato di dissuaderlo dall’imbarcarsi su quella nave, ma il Vice Intendente non era uomo dall’abbandonare né il suo equipaggio né il prezioso carico, e non comprese il criptico messaggio del’annunciato disastro.

    Non sapeva che quel rendiconto non doveva vedere la luce, perché avrebbe rivelato l’ingerenza pesante del Governo di Londra nella caduta del Regno delle Due Sicilie. L’Intendenza aveva dovuto gestire un ingente finanziamento in piastre d’oro turche, che aveva favorito l’arrendevolezza di gran parte degli ufficiali e delle alte cariche civili borboniche: un’ immobilità che aveva paralizzato l’Esercito e soprattutto la Marina borbonica.

    La reazione fu tardiva, lacunosa e minata dalla sfiducia aggravata dal tradimento di molti, senza il quale il più grande e agguerrito Stato della penisola italiana, con la terza flotta europea di quel tempo, sarebbe difficilmente caduto.

    La mattina successiva la nave si inabissò, quand’era già prossima al golfo di Napoli."

    Invitiamo ad approfondire quanto scritto su Nievo e anche su altri, perchè no? Ce ne sono a bizzeffe: lombardi, sardi, siculi, napoletani. A noi piacciono tutti perchè siamo fieri di essere italiani. Ma la fierezza non si acclama nè declama, si giustifica con la virtù.

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  2. Ci ha mandato anche questa richiesta che accogliamo. eccola: "Mi chiedo se nel prossimo numero del giornalino della scuola ci sarà spazio per la critica alla cosiddetta Unità d’Italia, che storicamente è stata un’acquisizione , spesso violenta o fraudolenta, di diversi territori da parte di una dinastia ben poco illuminata, che ci ha regalato anche il regime fascista"
    Corrado Penna

    Corrado, perchè non la scrivi tu?
    con le fonti!
    Aspettiamo. oppure fallo fare ai tuoi alunni. sarebbe un lavoro ben fatto.

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  3. Concludiamo con un altro intervento di Corrado Penna, docente di matematica presso il nostro Istituto. Ci scusiamo se è solo un commento e non un articolo. Ma è pubblicato. Lo invitiamo a scrivere un articolo revisionista, storiografico con le giustificazioni ideologiche e le fonti.

    ecco il suo ultimo intervento:"Scuole agghindate in tricolore, strade invase da bandiere che penzolano da ogni balcone, maestri e professori che inneggiano all'unità d'Italia senza sapere di cosa parlano, dimenticando che Cavour, Mazzini e Garibaldi erano massoni, che l'unità è stata in realtà la conquista da parte del regno sabaudo, che l'unità è costata guerre sanguinose pagate con tasse salate dai sudditi dei Savoia. E cosa è successo alla fine delle guerre? Alcuni territori sono passati da un sovrano all'altro.

    Libertà? I contadini di Bronte che reclamavano la libertà e che se la sono presa requisendo i terreni dei lartifondisti, furono giustiziati da Nino Bixio, luogotenente di Garibaldi.

    Libertà? Dopo l'unità d'Italia i meridionali si trovarono con nuove tasse e con il servizio militare obbligatorio (assente sotto il regno borbonico), che per la prima volta li strappava alle loro terre ed all'affetto dei propri cari per farli andare a morire ammazzati per conto di un re, che loro percepivano come straniero.

    Bandiera nazionale, inno nazionale, colori nazionali. Non bisogna essere anarchici per capire che "quando lo stato si prepara ad ammazzare si fa chiamare patria" (bellissima frase del commediografo Friedrich Dürrenmatt), bisogna solo essere delle persone consapevoli dello svolgimento degli eventi storici.
    Per quale assurdo motivo i contadini sardi dovevano andare a morire nella guerra di Crimea, voluta dal massone Cavour (almeno ufficialmente) per portare l'Italia nel novero delle nazioni europee più prestigiose? Per quale motivo i contadini piemontesi dovevano combattere contro i contatini asburgici? Solo perché avevano la divisa di un altro colore, come cantava De André? O forse perché parlavano un'altra lingua? Far la guerra per pagare le tasse ad un sovrano piuttosto che ad un altro la chiamate libertà?
    Libertà ... sotto i Savoia, quelli che poi regalarono l'Italia al fascismo di Mussolini?

    Unità, un solo stato totalitario sotto la foglia di fico della costituzione albertina. No grazie preferisco mille comunità locali autogestite."

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  4. CORRADO PENNA . rettifico. spesso mi scappa la disgrafia

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