domenica 23 gennaio 2011

150 anni unità d'Italia: l'uomo più fedele!

Rotonda dei Mille (BG)
Garibaldi: democratico, fedele al re!

“La guerra è lecita solo se è guerra per la libertà”. Parole che portano la firma di Giuseppe Garibaldi, democratico, anticlericale, repubblicano e tuttavia sempre fedele al suo re: Vittorio Emanuele II.
La sua vita, ricca di eccezionali imprese compiute in America e in Europa, è un romanzo di avventure, abbellito dal fascino dell’esotico; l’abilità con cui tiene testa ad avversari più forti lo accomuna agli eroi dei poemi epici, scatena la fantasia dei narratori, attira ammirazione e simpatia.
Coraggio e ostinazione, audacia e fortuna, s’intrecciano mentre, per anni, veleggia sui grandi fiumi e cavalca negli spazi sterminati di Brasile, Uruguay, Argentina, e quando combatte in Italia, sempre inferiore di uomini e di mezzi, sette campagne dal 1848 al 1867 contro austriaci, francesi, napoletani, e l’ottava in Francia nel 1870 contro i prussiani. Sorprende il nemico con inventiva e astuzia: in Brasile trasporta le navi dalla laguna al mare via terra; in Italia nel 1849 sfugge alla caccia di tre eserciti, nel 1860 beffa i borbonici, fingendo di ritirarsi mentre piomba su Palermo.
La fama delle imprese, che lo vedono protagonista per mare e per terra, vola nel mondo. Se ne parla in Europa e in America. In America combattono al suo fianco brasiliani, uruguayani, argentini ed emigrati italiani. In Europa italiani di tutte le regioni e di tutte le condizioni, democratici francesi, inglesi, americani, tedeschi, esuli polacchi, ungheresi, russi, slavi.
Già noto nel Sud America, il suo nome dal 1845 si affaccia prepotentemente sui quotidiani europei; riviste a diffusione internazionale ne pubblicano i ritratti, ne illustrano le imprese con i servizi giornalistici di disegnatori e fotografi che lo seguono sui campi di battaglia. Ritratti e rappresentazioni di episodi che lo riguardano sono diffusi con litografie a basso prezzo, in ogni angolo dell’Europa e delle Americhe. Si moltiplicano biografie, spesso romanzate, in italiano, in inglese, in francese, in tedesco, in tutte le lingue.
L’enorme popolarità non si spiega soltanto con l’eccezionalità delle imprese compiute. Ciò che colpisce è lo straordinario disinteresse, la fermezza con cui rifiuta ricompense e onori, la semplicità della sua vita, che sconfina nella povertà, la modestia con cui ritorna nell’ombra appena ritiene terminata la sua opera. La disponibilità con cui mette la sua vita al servizio dei ribelli del Rio Grande, dei difensori di Montevideo, dei repubblicani francesi, lontano da egoistici interessi nazionalistici. Sul fascino di una personalità, in cui convivono temerario sprezzo del pericolo in guerra e gentilezza di modi nella vita quotidiana, s’interrogano uomini politici, letterati, giornalisti. Lo idolatrano le donne, nobili e popolane, ricche e povere.
Notoriamente povero visse tutta la sua vita rifuggendo il denaro e gli onori per morire umilmente e dignitosamente. Il suo carisma, questa è stata la sua grande forza, ma questo è stato "anche" il suo peggior difetto.
Eh si, perchè i politici, i potenti, i suoi avversari e persino i suoi Fratelli massoni avevano paura di lui: temevano la sua lealtà, temevano la sua intransigenza di uomo giusto, temevano la sua incorruttibilità di uomo onesto e non gli perdonavano queste doti che lo ponevano al di sopra della mediocrità degli altri individui.
Diceva Cavour: "Come ci si può fidare di un potente che ama mangiare con la truppa o come accettare come capo supremo un uomo che invece di raccogliere onori e consensi, ama ritirarsi in un'isoletta come Caprera per coltivare la terra?"
Inconcepibile certo, per la personalità ambiziosa di Camillo Benso Conte di Cavour, eppure sono proprio questi tratti che rendono Giuseppe Garibaldi un mito che oltrepassa la leggenda del guerriero, che marca tutto il periodo del Risorgimento e in generale tutto il secolo scorso.
Cosmopolita che ha vissuto in tutti i paesi immaginabili, avventuriero nel senso più pittoresco del termine e al tempo stesso uomo di sinistra, democratico, repubblicano, anticlericale, con idee molto chiare e, proprio per questo, temutissimo e odiato da Cavour e dal re, in quelle circostanze irripetibili del 1860, Garibaldi ha saputo giocare la sua parte di grande condottiero e grande generale, facendo un passo indietro da politico, accettando che l’Italia unita fosse una monarchia liberale e non certamente quel paese più avanzato che lui avrebbe desiderato (per primo aveva infatti ipotizzato la formazione di un unico stato europeo).
Ma questo è il destino riservato ai grandi: per diventare un mito, una leggenda, un sogno, un richiamo, un’eco, un riflesso, un ricordo, ogni grand'uomo, in ogni epoca, ha sempre dovuto fare i conti con l'invidia e la gelosia degli altri.
E in questo Garibaldi non fa eccezione.
Il 26 ottobre del 1861 avvenne lo storico incontro a Teano tra Garibaldi e Vittorio Emanuele: «Saluto in Vittorio Emanuele il primo Re d'Italia». Con queste parole Garibaldi, di fatto, consegnò al Re piemontese tutta l'Italia meridionale.
Visto l'entusiasmo e la popolarità che la sua persona scatenava nelle folle deliranti per le sue imprese, Garibaldi avrebbe potuto approfittare di questa sua posizione per ottenere privilegi personali, onori e denaro per se e per i suoi figli. Ma egli non volle alcun favoritismo nè alcun riconoscimento; si ritirò invece con un sacco di sementi e pochi soldi nella sua amata Caprera, dove rimase e morì il 2 giugno del 1882 alle 18.20. L’orologio di fabbricazione inglese del suo studio fu fermato ed i fogli di un grande calendario non furono più staccati: segnano ancora oggi l'ora e il giorno della morte dell'eroe.


“Uomo di fama mondiale”, lo saluta nel 1850 “The New York Daily Tribune”; il russo Herzen lo esalta nel 1854 come “un eroe classico, un personaggio dell’Eneide (…) attorno al quale, se fosse vissuto in altra epoca, si sarebbe formata una leggenda”, e dieci anni dopo come “l’unica grande personalità popolare del nostro secolo elaboratasi dal 1848”; “Uomo della libertà, uomo dell’umanità”, lo definisce nel 1860 il francese Victor Hugo; tre anni dopo è considerato “l’uomo più grande del secolo” dal presidente argentino Bartolomeo Mitre; nel 1867 è chiamato dallo svizzero James Fazy “l’uomo più valoroso e più disinteressato del suo secolo”; nel 1870 l’inglese Philip Gilbert Hamerton sembra “il più romantico eroe del nostro secolo, l’uomo più famoso del pianeta, il capo più sicuro di vivere nel cuore delle future generazioni”; alla sua morte tedesca “ Deutsche Zeitung” invoca un nuovo Omero “per cantare degnamente l’Odissea di questa vita”.
Davide Villa 4AL

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