martedì 31 maggio 2011

150 ANNI UNITA' D'ITALIA: Bergamo, povera?


Bergamo nel 1860: urgente bisogno di interventi!
Nell’Aprile 1860 il governo del regno di Sardegna assegnò ad alcuni funzionari il compito di riferire la situazione economica e sociale delle province appena acquisite. Tra queste province vi era quella bergamasca che venne affidata al prefetto Stefano Centurione. Dai documenti del delegato statale emergono informazioni molto sconcertanti sotto ogni punto di vista:  negli ultimi anni del governo Austriaco, la provincia di Bergamo si impoverì in modo particolarmente brusco soprattutto per via della tassazione che aumentava col scendere della produttività della zona. La situazione che Centurione trovò era dunque particolarmente precaria: la produttività era in continua discesa per via della forte crisi dell’agricoltura e dell’industria dovuta alla mancanza, causata da alcune malattie, di materia prima che consisteva essenzialmente in uva e bachi da seta. L’ unica zona della provincia che ancora non era stata messa in ginocchio era quella di Treviglio, dove la principale fonte economica erano le marcite, possibili grazie al corso dei fiumi Serio e Oglio, ma la situazione generale era comunque grave e sia i proprietari terrieri sia i coloni erano ridotti al limite della povertà. Questa precarietà si rifletteva poi sull’ industria, che allora era principalmente serica: infatti, oltre alla mancanza di materia prima, si doveva affrontare la crisi del potere d’acquisto.
Un altro settore da prendere in considerazione è quello metallurgico, in particolare del ferro: la grande produzione degli anni precedenti, destinata soprattutto agli arsenali veneti, era stata soppiantata dal ferro inglese che, oltre ad essere di migliore qualità, veniva importato a basso prezzo.
Anche l’allevamento delle pecore, assai diffuso, era quasi completamente estinto per via della forte importazione di lana di maggiore qualità dalla Spagna e dall’Austria.
Un ultimo settore industriale ben sviluppato era quello delle cave di pietra diffuse soprattutto nella zona di Sarnico e Trescore: questo settore non era decaduto come gli altri ma andava finanziato dallo stato, affinché si fossero potute  migliorare le condizioni precarie dei lavoratori.
Per migliorare la situazione agricola, il governo austriaco aveva avviato una sorta di privatizzazione dei territori comunali perché ne venisse migliorata la produttività: questa decisione turbò particolarmente, soprattutto nelle zone di montagna, l’indole tranquilla e laboriosa dei bergamaschi che si persero tra risse, furti e altri comportamenti violenti e dannosi, come l’alcolismo,  che causarono anche un problema sociale. Rimanendo nel tema del sociale, ci sono altri due importanti elementi da considerare:il primo è la mancanza dell’istruzione che Centurione riteneva dovesse essere assolutamente imposta per sedare l’analfabetismo e l’ignoranza, entrambi diffusissimi; il secondo è il forte bigottismo dei Bergamaschi. La chiesa infatti sfruttava e impregnava di idee clericali i contadini facendo leva sulla loro ignoranza e sui loro timori.
In conclusione i nuovi territori del regno sardo e in particolare quelli delle province settentrionali erano in pessime condizioni sociali ed economiche alle quali bisognava rapidamente rimediare. Il nuovo governo, oltre che sull’istruzione, doveva intervenire sul sistema fiscale, diminuendo le tasse, e sul sistema giuridico, affinché venissero controllati lo sfruttamento dei territori comunali e repressi i comportamenti violenti.
Inoltre andavano assolutamente finanziati e rivisti i settori dell’industria che potevano tornare ad essere un’importante fonte economica.  Lo spaccato che emerge è quello di un paese in difficoltà che aveva bisogno di interventi costosi.
Si avviò quindi, a partire dall’Unità d’Italia, la cosiddetta “Piemontizzazione” del Regno: essa consisteva nell’estendere la struttura politico-amministrativa del Regno di Sardegna a tutte le province, comportando così un assetto fortemente centralizzato. Lo Statuto Albertino si eleva a costituzione del Regno; lo stato viene diviso in province, governate a un prefetto di nomina regia. Anche simboli come la bandiera e l’inno d’Italia vengono ripresi da quelli dei Savoia. I costi sono così parzialmente contenuti e la Lombardia, regione ricca con province povere, si uniforma al Regno.


Belometti, Marinaro, Mirone 4AL

150 ANNI UNITA' D'ITALIA: Alba e Gabriele...

Fondazione Bergamo nella storia

ALBA CORALLI E GABRIELE CAMOZZI, PATRIOTI INNAMORATI
All’interno dello scenario ottocentesco italiano, in cui si animano le menti patriottiche che aspirano ad un’Italia unita sotto un’unica corona, non ci troviamo soltanto di fronte a fatti puramente storico-politici: ciò che affascina forse ancor più dell’impeto che ha il raggiungimento dell’unità sugli italiani è quella sorta di retroscena che si crea tra un’insurrezione e l’altra.
E’ infatti dallo scambio di ideali politici concordi o, talvolta antitetici, che si vedono sorgere intense storie d’amore, come lo è quella tra Gabriele Camozzi e Alba Coralli, la cui testimonianza ci è pervenuta grazie alle 800 lettere che i due patrioti si sono scambiati in un ventennio circa. Alba, educata secondo principi moderni e liberali, abituata all’indipendenza di azione e pensiero; Gabriele, a contatto fin da giovane con il mondo liberale e democratico lombardo. Un unico traguardo da raggiungere per entrambi: liberare l’Italia e fare di essa un vero e proprio stato.
Tutto ad un tratto le vite dei due giovani si intrecciano: si incontrano ad Albaro, località nei pressi di Genova, e, grazie all’abitazione condivisa e al comune impegno patriottico, avviene il primo incontro tra loro e nasce un rapporto via via più intenso, intimo e complice, che da semplice intesa e confidenza si trasforma in un amore passionale. E così nell’aprile 1859 Alba e Gabriele si sposano, rafforzando ancor più il legame passionale che arde dentro di loro: sebbene fisicamente separati, vivono gli eventi politico-militari che stanno sconvolgendo il loro paese con una fervida partecipazione, legati più che mai grazie alla duplice gioia per se stessi e la patria, che vede nel cruento fondo di guerre uno spiraglio che le permetterà di ottenere l’indipendenza a cui aspirava con entusiasmo.
E’ questa una delle coppie più insigni dell’Italia risorgimentale, forse per l’insieme di ideali politici che si portano appresso i due personaggi:  il carteggio intercorso fra loro, infatti, costituisce un esempio delle opposizioni di pensiero e di azione esistente tra ideali democratici, da un lato, e moderati, dall’altro, opposizioni trasbordate da un quadro di discussione politica ad uno meno tradizionale del rapporto di coppia. L’impegno politico, dunque, è per i due giovani patrioti uno stimolo all’incontro e alla conoscenza,  un elemento di coesione che facilita l’approfondirsi del loro legame ed anche la causa di frequenti separazioni; ostacoli generati da tale impegno che però proprio lo stesso aiuta a superare in quanto spinge i due a comunicare tramite lettere, alimentando così il desiderio di conoscersi reciprocamente. Alba, per esempio, nelle lettere esorta ripetutamente Gabriele a riflettere sulle condizioni del loro paese e ad agire per esso: “[…] primo nostro scopo sia l’indipendenza del Paese, nostro supremo desiderio la guerra. Voi proverete l’amore per la Patria col braccio, noi col sacrificio in silenzio. Ad ognuno ciò che gli spetta, ma tutti facciano”.
Ma forse, in una situazione simile, non è tanto il confronto politico tra i due ad affascinare, a fare della loro storia d’amore uno dei modelli più significativi non soltanto dell’epoca rinascimentale. Sono infatti altri gli elementi che colpiscono: un groviglio di valori di importanza fondamentale ma non calcolati minimamente dalla società ad Alba e Gabriele coeva; valori addirittura condannati, vengono a galla, portando con sé un velo di sbigottimento che, tuttavia, non fa paura ai due innamorati. Un tipico esempio di anticonformismo si ritrova nella scelta di passare, dopo pochi mesi di conoscenza, dal “voi” al “tu”, indice manifesto dell’intimità creatasi fra i due, ma inammissibile in quegli anni in cui il tu era concesso solo dopo le nozze. Condividendo l’alloggio ad Albaro, legami famigliari e di amicizia, ideali politici, i due amanti di tengono legati da una confidenza evidenziata nelle lettere che si sono scambiati. Sono lettere vive le loro, cariche di un sentimentalismo e di un pathos impensabile a quel tempo; a poco a poco esse si svincolano dal raccontare vicende storico-politiche italiane pre e postunitarie, poiché invasi dalla necessità di parlare di sé, della loro storia d’amore; ognuno narra all’altro di sé con più spontaneità sulla vita quotidiana, le proprie preoccupazioni, i propri stati d’animo, i propri progetti, praticamente su qualsiasi cosa! Gabriele e l’amata diventano in modo reciproco ascoltatori attenti e partecipi, nonché aiuto e consiglio, interiore ma anche pratico. La relazione tra Alba e Gabriele si contraddistingue poi per il carattere singolarmente paritario: il rispetto reciproco, la collaborazione, la stima sono alla base dei valori di questa coppia. Nonostante la legge attribuisse a Gabriele, nelle veci di marito, la più ampia autonomia nella condizione della famiglia, di comune accordo i due coniugi si mettono sullo stesso piano. In particolare Alba, discostandosi dalle altre donne della sua epoca, riceve una valida cultura, si interessa di problemi educativi e politici, per la soluzione dei quali il suo carattere determinato ed attivo la spinge ad intervenire di persona con le parole e con i fatti. E Gabriele, nei confronti di una donna come lei, così attiva in ambito famigliare, relazionale e politico e così coerente agli ideali da lei perseguiti, si rivela accondiscendente e le porta il massimo del rispetto, cercando sempre di uniformare i progetti della moglie ai propri.
Ecco un esempio, dalle loro missive, di questo rapporto di coppia, per così dire, “alla pari”, nonché del profondo interesse nutrito dal patriota nei confronti dell‘amata. Scrive Gabriele: “[…] voglio avere assolutamente un punto di appoggio nella casa ove sei tu. […] te lo dico chiaro, io conto e voglio restar con te […] Io voglio bene a te ed ad alla tua famiglia. Dunque non desidero che vedervi e starvi assieme”.La vita di questa coppia patriottica trascorre, seppur tra alti e bassi, nel complesso senza gravi difficoltà. Gabriele muore lontano dalla moglie nel 1869, mentre Alba, ignara della scomparsa del marito, dopo essere guarita da una grave malattia, torna a scrivergli, con la voglia di riprendere il filo del loro rapporto che è invece spezzato per sempre. E’ così che si concludono le vicende ma soprattutto le passionali missive di due patrioti innamorati quali Alba e Gabriele: animati dalla stessa speranza di vedere, un giorno, l’Italia unita, si fanno forza vicendevolmente, scoprendo emozioni che mai avrebbero pensato di provare.
Chitò Giulia 4AL

mercoledì 25 maggio 2011

150 ANNI UNITA' D'ITALIA: Bergamo nell'800, l'almanacco

L’ ALMANACCO: UN CALENDARIO PER L’EDUCAZIONE.
“Sfogliando”  le pagine dei quaderni on-line degli archivi della Fondazione Bergamo nella storia, abbiamo potuto constatare che un oggetto della nostra quotidianità, ha avuto una storia tutt’altro che banale. Avete capito di cosa stiamo parlando? Probabilmente no! È l’aspirazione di ogni modella e il compagno di viaggio di molti camionisti o semplicemente un promemoria per chi vive alla giornata. Vi è mai capitato di chiedervi “che giorno è oggi?”. Ecco che allora, è d’obbligo rivolgersi al nostro protagonista: il calendario. Volgendo uno sguardo in pieno Rinascimento, avremmo sentito sicuramente parlare dell’almanacco o del decadario, se catapultati in piena Rivoluzione Francese.
In una attività spesso ridotta al collasso, l’almanacco costituì, per gli editori dell’800, una delle poche fonti di reddito sicuro. Esso non era un semplice calendario, ma conteneva, oltre che  immagini sacre e informazioni relative alle fasi lunari, alle quali siamo tutt’ora abituati, anche racconti pedagogici, consigli pratici e predizioni. Il tutto veniva sponsorizzato anticipatamente, tra la fine dell’anno e l’inizio di quello nuovo, tramite avvisi e locandine, grazie alle quali la maggior parte della popolazione veniva a conoscenza di questo mezzo innovativo.
La facile comprensione e il basso costo favorirono la vendita, non solo tra le classi più alte, ma anche tra quelle meno agiate.
Quale fu il miglior risultato di questa diffusione su ampia scala? Il titolo di uno dei più famosi almanacchi bergamaschi, “la conversazione nella stalla”, può aiutarci a dare una risposta.
Nel 1818 dalla Stamperia Sonzogni di Bergamo parte l’idea di raccontare i primi frutti di questo capolavoro. Consuetudine diffusa era infatti, nei paesi, riunirsi nella stalla per leggere e pregare.
La lettura delle storie e degli scritti degli almanacchi, consentiva agli analfabeti di poter tramandare quanto sentito anche oralmente.
A riguardo spesero alcune parole anche personaggi del calibro di Scalia e Carlo Tenca. Quest’ultimo lo definisce un “mezzo potente e facile di educazione, le cui applicazioni giovano ad educare e migliorare le condizioni del popolo”. Un almanacco, secondo lui, segue l’operaio nella sua casa e nella sua officina. Dandogli ancora più importanza Scalia lo visualizza come “l’espressione di equilibrio sociale, di conoscenza nazionale e di servizio pubblico”. Insomma, dalle loro parole abbiamo potuto constatare quanto  l’almanacco sia stato essenziale soprattutto tra i meno colti, i quali facevano tesoro di ogni singola parola che riguardasse non solo l’ambito religioso, ma anche quello sociale. Gli argomenti trattati in questi annali erano tra i più svariati: dalla medicina a veri e propri gossip. Ad esempio, alcuni, riportavano vita, morte e miracoli non solo dei santi ma anche dei musicisti dell’epoca. Col passare del tempo l’almanacco acquista sempre più un carattere laico: la  principale causa  è la Francia che, pur essendo occupata in battaglie in nome della libertà, lo usa come arma contro l’ordine ecclesiastico. Nei decadari francesi ad  ogni giorno non si fa più corrispondere un santo, ma una particolare fase agricola. Questa nuova modalità di almanacco non ha però successo in Italia, dove la fede rimane alla base della quotidianità. Se ora dal nostro banco di scuola buttiamo un occhio al calendario, misero e spoglio, non possiamo che provare nostalgia verso tanta fantasia e ricchezze di contenuto. Questo può essere uno spunto per i nostri insegnanti: accanto alle date non più compiti o verifiche, ma racconti simpatici e coinvolgenti!
Eva Bettoni & Elena Gabanelli 4al

sabato 21 maggio 2011

150 ANNI UNITA' D'ITALIA: Bergamo nell'800


Bergamo e le malattie nell’800

Analizzare le malattie diffuse nei secoli scorsi è un'operazione piuttosto faticosa a causa della difficoltà di far corrispondere gli attuali sistemi di classificazione delle malattie con quelli del passato.
I sistemi odierni  e quelli del secolo scorso sono separati infatti dalle scoperte della microbiologia avvenute tra la fine dell'800 e l'inizio del 900 e che portarono all'individuazione dei batteri
patogeni come responsabili delle malattie.
Riguardo lo studio delle malattie a Bergamo nell'Ottocento esiste una certa differenza tra le fonti relative alla prima metà del secolo, e quelle della seconda metà.
Per il primo segmento cronologico la documentazione è scarsa e presenta due limiti ai fini della nostra indagine: il primo è di non distinguere la situazione della città rispetto a quella della campagna, il secondo è di non riportare alcun dato quantitativo.
Nel suo ampio studio il medico ospedaliero Giacomo Facheris classificò le affezioni che predominavano nella Bergamasca all'inizio dell'Ottocento in "malattie acute", "malattie croniche", e "vizi e difetti morbosi".
Tra le prime erano assai diffuse: la "peripneumonia" o infiammazione dei polmoni, le "febbri" di vario genere comprensive, molto probabilmente, anche delle malattie gastrointestinali.
Oltre ad esse vi erano la risipola (un eritema cutaneo che poteva manifestarsi in modo lieve o in modo più virulento), e varie forme di "eruzioni" come le cosiddette "migliari", l' "urticaria", la rosolia, e anche le "petecchie" e il vaiolo; quest'ultime due malattie ebbero inoltre un carattere endemico.
Tra le affezioni croniche si annoveravano la "tabe polmonare" che degenerava spesso in tisi e presentava un'elevata mortalità, e la "tabe senile", i mali reumatici cronici tra cui la "lombaggine", la "sciatica", l'artritide" o gotta. I bagni di Trescore erano specializzati nella cura di questi mali.
Alla categoria delle "deformità" o "vizj morbosi" apparteneva anche il gozzo che si manifestava come un ingrossamento della ghiandola tiroidea. Esso era presente soprattutto nei comuni di montagna e di pianura; in alcuni comuni di quest'ultima parte della provincia anche il gozzo assumeva addirittura un carattere endemico. Secondo lo studioso ne erano affette più le donne che gli uomini, e più i fanciulli che gli adulti, infatti esso cominciava a svilupparsi tra gli 8 e gli 11 anni e una volta che si manifestava in una persona era molto raro che scomparisse. Al gozzo spesso si associavano anche l' "imbecillità" e il "cretinismo".
Tra le altre "deformità" vi erano la "scrofola" e la"rachitide"; quest'ultima era diffusa soprattutto la città dove molte abitazioni erano umide, poco soleggiate, poco ventilate e anguste.
Altre malattie che risultavano presenti nella Bergamasca nel periodo in esame, erano la "tigna", la "scabbia" e la"sifilide" e la "malaria". Quest'ultima era presente nella pianura meridionale dove vi erano le risaie, alcuni terreni stagnanti e prati a marcita in cui si coltivavano il lino e la canapa.
Oltre alle malattie "ordinarie" (sia esse comuni, croniche o deformità), a minare la salute della popolazione bergamasca per tutto il corso dell'Ottocento vi furono le malattie a carattere epidemico, ossia che apparvero per un periodo di tempo ristretto, ma che per la loro natura spesso contagiosa colpirono una grande moltitudine di persone, e una grave endemia, la pellagra.

"Ordini"
Maschi
Femmine
Totale
%
Febbri
3.636
1.942
5.578
41,8
Cachessie
2.950
2.071
5.021
38
Nevrosi
569
352
921
6,9
Eccrisi
563
310
873
6,5
Vizj
organici
705
232
937
Totale
8.423
4.907
13.329
100

Al di là della causa specifica che ne produceva l'insorgenza, è evidente che le precarie condizioni di vita e l'insufficiente nutrizione della stragrande maggioranza della popolazione, resero quest'ultima molto debole di fronte alle malattie. Inoltre le malattie trovavano un facile terreno di coltura all'interno di centri abitati caratterizzati da condizioni igienico-sanitarie assai carenti, privi com'erano di sistemi fognari efficienti e di acquedotti.
I livelli di mortalità presso l'Ospedale Civile di Bergamo si aggirarono nel periodo considerato intorno al 10% del totale dei ricoverati. Tra i maschi e le femmine vi era però uno scarto in quanto la percentuale dei morti tra le femmine fu del 3,5 punti in più rispetto a quella maschile (8,7% i maschi e 12,2% le femmine).

Per quanto riguarda invece la seconda metà dell’800  la documentazione relativa alle malattie che imperversarono nel Bergamasco e nel capoluogo è disponibile in maggior quantità, specie per i decenni seguenti l’unità.
I direttori dell'Ospedale Maggiore iniziarono ad organizzarsi e a redigere con regolarità annuale le relazioni sanitarie in cui comparivano le statistiche delle principali malattie di cui soffrivano i ricoverati mentre, per quanto riguarda le città, a partire dagli anni Settanta sono disponibili le relazioni sanitarie annuali del medico municipale.
Per questi motivi è quindi molto più facile studiare la situazione epidemiologica della Bergamasca nel periodo post-unitario.
Come ben documenta il dottor Federico Maironi, tra le malattie che dominarono nel 1874 nella città ci fu la difterite, una malattia contagiosa che colpì soprattutto i bambini nella fascia d'età tra i 2 e i 9 anni.
Nel corso di quell’anno i casi di difterite furono 101, la maggior parte dei casi si verificò nella parte piana della città mentre solo 8 in città alta; i morti furono 59, e il tasso di letalità del 58,4%.
Le altre malattie maggiormente presenti in questo periodo storico risultano essere la "tisi", la "rachitide" e la "scrofola".
La "tisi" o tubercolosi, come le affezioni tifoidi che colpivano l'apparato digerente, costituisce una presenza costante nelle città italiane durante l'Ottocento; le prime erano diffuse soprattutto nei mesi invernali mentre le seconde in quelli estivi. La tubercolosi, provocata dall'insalubrità delle abitazioni, registrò un aumento nell'ultima parte del 19° secolo poiché l'inurbamento aggravò il grado di affollamento delle abitazioni popolari. Vanno inoltre aggiunte alle cause le pessime condizioni igienico sanitarie dei cotonifici e dei setifici, saturi di pulviscolo, in cui la tubercolosi si diffuse come una tipica malattia professionale.
Nel 1886, secondo i dati riportati dal medico municipale, 204 persone (il 15% circa) morì per malattie dell'apparato respiratorio.
La causa principale del rachitismo ("rachitide") era l'insalubrità delle abitazioni in cui vivevano i ceti popolari; a Bergamo la malattia era assai diffusa in città alta, la parte più vecchia della città dove molte abitazioni erano malsane perché umide e malareate. Inoltre cominciava a diffondersi il rachitismo come malattia professionale che colpiva soprattutto i bambini che in gran numero lavoravano nelle nascenti industrie, con ambienti di lavoro spesso umidi. Nei cotonifici, ad esempio, si usava tenere bagnati permanentemente i locali per tenere umido il cotone.
L’espansione industriale, era responsabile anche dell'aumento dei casi di "scrofola". Il prefetto Fiorentini, ad esempio, negli anni ottanta del secolo scorso, denunciò che il lavoro troppo precoce e prolungato dei fanciulli, snerva la numerosa popolazione operaia e prepara generazioni fiaccate dal germe insidioso che si trasmette per eredità gentilizia.
Anche il pessimo stato di molte abitazioni, umide, mal aerate e spesso ammuffite contribuiva a far insorgere questa malattia.
Altra tipica malattia urbana fu il tifo o, come si chiamava allora, le "febbri tifoidi". Con questo nome si definivano le malattie gastro-enteriche, spesso denominate con il nome del sintomo più evidente (diarrea), o di uno stato morboso ad esse associato (gastrite, enterite, dissenteria, ulcera intestinale, ecc.).
 La causa di questa malattia consisteva nell'ingestione di cibi o di acqua contaminata da materie fecali, e la loro diffusione era il sintomo più evidente di un approvvigionamento idrico carente e di un sistema fognario inadeguato.
Il germe del tifo fu isolato per la prima volta nel 1880 e negli anni successivi si stabilì che il bacillo che lo produceva si diffondeva attraverso l'acqua, i cibi inquinati, e il contatto interumano.
Nel 1886, secondo quanto riferito dal medico municipale Michelangelo Galli, i casi di "febbre tifoide" notificati in città furono 78, di cui 20 morirono.
Tra le malattie infettive erano presenti in città (ma anche in provincia) anche se in modo meno grave la pertosse, il morbillo, e il "crup laringeo".
Sempre secondo il prefetto Fiorentini, dal 1883 al 1887 presso l'Ospedale Maggiore furono ricoverati 70 individui affetti dalla tigna (14 l'anno in media), 350 dalla scabbia ( 70 l'anno) e 750 dalla sifilide (150 l'anno).
Per quanto riguarda le malattie presenti soprattutto nelle campagne, anche nella seconda metà dell'Ottocento, continuò a essere presente nei centri rurali della Bergamasca il gozzo di cui, secondo il dottor Michelangelo Galli, nel 1882 erano affette 11.449 persone.
La malaria cominciò in questi anni a registrare un sostanziale regresso.
 Ciò fu dovuto sia ai regolamenti igienici approvati agli inizi degli anni Ottanta dai comuni che alle trasformazioni dell'agricoltura bergamasca, in particolare una maggior specializzazione delle coltivazioni che impose l'abbandono delle colture meno adatte ossia nella fattispecie il riso, il lino e la canapa.
In conclusione, in riferimento alla città, va considerato che le suddette malattie di cui si è parlato incisero più o meno pesantemente sulla dinamica demografica della città.
Quest'ultima, in un'annata non interessata da crisi epidemiche come fu il 1886, mostrò la seguente
situazione:


Situazione demografica della città di Bergamo nel 1886
1885
1886
%
Abitanti
41.208
41.544

Immigrati
942
965

Emigrati
652
654

Nati x 1000

34,3

Morti x 1000

33,09

Nati

1.425

Nati morti

94

Illegittimi

96

Morti

1.375

Mortalità nel 1° anno

285
20
Mortalità dal 2° al 5° anno

139
10

Le morti erano parecchie soprattutto nei primi anni di vita.

Davide Villa 4AL