sabato 21 maggio 2011

150 ANNI UNITA' D'ITALIA: Bergamo nell'800


Bergamo e le malattie nell’800

Analizzare le malattie diffuse nei secoli scorsi è un'operazione piuttosto faticosa a causa della difficoltà di far corrispondere gli attuali sistemi di classificazione delle malattie con quelli del passato.
I sistemi odierni  e quelli del secolo scorso sono separati infatti dalle scoperte della microbiologia avvenute tra la fine dell'800 e l'inizio del 900 e che portarono all'individuazione dei batteri
patogeni come responsabili delle malattie.
Riguardo lo studio delle malattie a Bergamo nell'Ottocento esiste una certa differenza tra le fonti relative alla prima metà del secolo, e quelle della seconda metà.
Per il primo segmento cronologico la documentazione è scarsa e presenta due limiti ai fini della nostra indagine: il primo è di non distinguere la situazione della città rispetto a quella della campagna, il secondo è di non riportare alcun dato quantitativo.
Nel suo ampio studio il medico ospedaliero Giacomo Facheris classificò le affezioni che predominavano nella Bergamasca all'inizio dell'Ottocento in "malattie acute", "malattie croniche", e "vizi e difetti morbosi".
Tra le prime erano assai diffuse: la "peripneumonia" o infiammazione dei polmoni, le "febbri" di vario genere comprensive, molto probabilmente, anche delle malattie gastrointestinali.
Oltre ad esse vi erano la risipola (un eritema cutaneo che poteva manifestarsi in modo lieve o in modo più virulento), e varie forme di "eruzioni" come le cosiddette "migliari", l' "urticaria", la rosolia, e anche le "petecchie" e il vaiolo; quest'ultime due malattie ebbero inoltre un carattere endemico.
Tra le affezioni croniche si annoveravano la "tabe polmonare" che degenerava spesso in tisi e presentava un'elevata mortalità, e la "tabe senile", i mali reumatici cronici tra cui la "lombaggine", la "sciatica", l'artritide" o gotta. I bagni di Trescore erano specializzati nella cura di questi mali.
Alla categoria delle "deformità" o "vizj morbosi" apparteneva anche il gozzo che si manifestava come un ingrossamento della ghiandola tiroidea. Esso era presente soprattutto nei comuni di montagna e di pianura; in alcuni comuni di quest'ultima parte della provincia anche il gozzo assumeva addirittura un carattere endemico. Secondo lo studioso ne erano affette più le donne che gli uomini, e più i fanciulli che gli adulti, infatti esso cominciava a svilupparsi tra gli 8 e gli 11 anni e una volta che si manifestava in una persona era molto raro che scomparisse. Al gozzo spesso si associavano anche l' "imbecillità" e il "cretinismo".
Tra le altre "deformità" vi erano la "scrofola" e la"rachitide"; quest'ultima era diffusa soprattutto la città dove molte abitazioni erano umide, poco soleggiate, poco ventilate e anguste.
Altre malattie che risultavano presenti nella Bergamasca nel periodo in esame, erano la "tigna", la "scabbia" e la"sifilide" e la "malaria". Quest'ultima era presente nella pianura meridionale dove vi erano le risaie, alcuni terreni stagnanti e prati a marcita in cui si coltivavano il lino e la canapa.
Oltre alle malattie "ordinarie" (sia esse comuni, croniche o deformità), a minare la salute della popolazione bergamasca per tutto il corso dell'Ottocento vi furono le malattie a carattere epidemico, ossia che apparvero per un periodo di tempo ristretto, ma che per la loro natura spesso contagiosa colpirono una grande moltitudine di persone, e una grave endemia, la pellagra.

"Ordini"
Maschi
Femmine
Totale
%
Febbri
3.636
1.942
5.578
41,8
Cachessie
2.950
2.071
5.021
38
Nevrosi
569
352
921
6,9
Eccrisi
563
310
873
6,5
Vizj
organici
705
232
937
Totale
8.423
4.907
13.329
100

Al di là della causa specifica che ne produceva l'insorgenza, è evidente che le precarie condizioni di vita e l'insufficiente nutrizione della stragrande maggioranza della popolazione, resero quest'ultima molto debole di fronte alle malattie. Inoltre le malattie trovavano un facile terreno di coltura all'interno di centri abitati caratterizzati da condizioni igienico-sanitarie assai carenti, privi com'erano di sistemi fognari efficienti e di acquedotti.
I livelli di mortalità presso l'Ospedale Civile di Bergamo si aggirarono nel periodo considerato intorno al 10% del totale dei ricoverati. Tra i maschi e le femmine vi era però uno scarto in quanto la percentuale dei morti tra le femmine fu del 3,5 punti in più rispetto a quella maschile (8,7% i maschi e 12,2% le femmine).

Per quanto riguarda invece la seconda metà dell’800  la documentazione relativa alle malattie che imperversarono nel Bergamasco e nel capoluogo è disponibile in maggior quantità, specie per i decenni seguenti l’unità.
I direttori dell'Ospedale Maggiore iniziarono ad organizzarsi e a redigere con regolarità annuale le relazioni sanitarie in cui comparivano le statistiche delle principali malattie di cui soffrivano i ricoverati mentre, per quanto riguarda le città, a partire dagli anni Settanta sono disponibili le relazioni sanitarie annuali del medico municipale.
Per questi motivi è quindi molto più facile studiare la situazione epidemiologica della Bergamasca nel periodo post-unitario.
Come ben documenta il dottor Federico Maironi, tra le malattie che dominarono nel 1874 nella città ci fu la difterite, una malattia contagiosa che colpì soprattutto i bambini nella fascia d'età tra i 2 e i 9 anni.
Nel corso di quell’anno i casi di difterite furono 101, la maggior parte dei casi si verificò nella parte piana della città mentre solo 8 in città alta; i morti furono 59, e il tasso di letalità del 58,4%.
Le altre malattie maggiormente presenti in questo periodo storico risultano essere la "tisi", la "rachitide" e la "scrofola".
La "tisi" o tubercolosi, come le affezioni tifoidi che colpivano l'apparato digerente, costituisce una presenza costante nelle città italiane durante l'Ottocento; le prime erano diffuse soprattutto nei mesi invernali mentre le seconde in quelli estivi. La tubercolosi, provocata dall'insalubrità delle abitazioni, registrò un aumento nell'ultima parte del 19° secolo poiché l'inurbamento aggravò il grado di affollamento delle abitazioni popolari. Vanno inoltre aggiunte alle cause le pessime condizioni igienico sanitarie dei cotonifici e dei setifici, saturi di pulviscolo, in cui la tubercolosi si diffuse come una tipica malattia professionale.
Nel 1886, secondo i dati riportati dal medico municipale, 204 persone (il 15% circa) morì per malattie dell'apparato respiratorio.
La causa principale del rachitismo ("rachitide") era l'insalubrità delle abitazioni in cui vivevano i ceti popolari; a Bergamo la malattia era assai diffusa in città alta, la parte più vecchia della città dove molte abitazioni erano malsane perché umide e malareate. Inoltre cominciava a diffondersi il rachitismo come malattia professionale che colpiva soprattutto i bambini che in gran numero lavoravano nelle nascenti industrie, con ambienti di lavoro spesso umidi. Nei cotonifici, ad esempio, si usava tenere bagnati permanentemente i locali per tenere umido il cotone.
L’espansione industriale, era responsabile anche dell'aumento dei casi di "scrofola". Il prefetto Fiorentini, ad esempio, negli anni ottanta del secolo scorso, denunciò che il lavoro troppo precoce e prolungato dei fanciulli, snerva la numerosa popolazione operaia e prepara generazioni fiaccate dal germe insidioso che si trasmette per eredità gentilizia.
Anche il pessimo stato di molte abitazioni, umide, mal aerate e spesso ammuffite contribuiva a far insorgere questa malattia.
Altra tipica malattia urbana fu il tifo o, come si chiamava allora, le "febbri tifoidi". Con questo nome si definivano le malattie gastro-enteriche, spesso denominate con il nome del sintomo più evidente (diarrea), o di uno stato morboso ad esse associato (gastrite, enterite, dissenteria, ulcera intestinale, ecc.).
 La causa di questa malattia consisteva nell'ingestione di cibi o di acqua contaminata da materie fecali, e la loro diffusione era il sintomo più evidente di un approvvigionamento idrico carente e di un sistema fognario inadeguato.
Il germe del tifo fu isolato per la prima volta nel 1880 e negli anni successivi si stabilì che il bacillo che lo produceva si diffondeva attraverso l'acqua, i cibi inquinati, e il contatto interumano.
Nel 1886, secondo quanto riferito dal medico municipale Michelangelo Galli, i casi di "febbre tifoide" notificati in città furono 78, di cui 20 morirono.
Tra le malattie infettive erano presenti in città (ma anche in provincia) anche se in modo meno grave la pertosse, il morbillo, e il "crup laringeo".
Sempre secondo il prefetto Fiorentini, dal 1883 al 1887 presso l'Ospedale Maggiore furono ricoverati 70 individui affetti dalla tigna (14 l'anno in media), 350 dalla scabbia ( 70 l'anno) e 750 dalla sifilide (150 l'anno).
Per quanto riguarda le malattie presenti soprattutto nelle campagne, anche nella seconda metà dell'Ottocento, continuò a essere presente nei centri rurali della Bergamasca il gozzo di cui, secondo il dottor Michelangelo Galli, nel 1882 erano affette 11.449 persone.
La malaria cominciò in questi anni a registrare un sostanziale regresso.
 Ciò fu dovuto sia ai regolamenti igienici approvati agli inizi degli anni Ottanta dai comuni che alle trasformazioni dell'agricoltura bergamasca, in particolare una maggior specializzazione delle coltivazioni che impose l'abbandono delle colture meno adatte ossia nella fattispecie il riso, il lino e la canapa.
In conclusione, in riferimento alla città, va considerato che le suddette malattie di cui si è parlato incisero più o meno pesantemente sulla dinamica demografica della città.
Quest'ultima, in un'annata non interessata da crisi epidemiche come fu il 1886, mostrò la seguente
situazione:


Situazione demografica della città di Bergamo nel 1886
1885
1886
%
Abitanti
41.208
41.544

Immigrati
942
965

Emigrati
652
654

Nati x 1000

34,3

Morti x 1000

33,09

Nati

1.425

Nati morti

94

Illegittimi

96

Morti

1.375

Mortalità nel 1° anno

285
20
Mortalità dal 2° al 5° anno

139
10

Le morti erano parecchie soprattutto nei primi anni di vita.

Davide Villa 4AL

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